Il golpe di Davide

Poi arriva Davide Casaleggio.

Che a colazione prende sempre brioche e succo di pera.

Ogni giorno, brioche e succo di pera.

Tanto è pieno di idee Gianroberto, tanto è metodico suo figlio Davide.
L’uomo che adesso ha le chiavi e i codici del Movimento Cinque Stelle è il consigliere più fidato del padre “a cui si affida tanto, nel bene e nel male” spiegano sempre dai piani alti del Movimento, ma senza la stessa passione politica e lucidità di visione.

Il padre ha i sogni.

Il figlio li traduce in tattiche e azioni pratiche.

Il padre fa riunioni a porte aperte.

Il figlio fa riunioni a porte chiuse.

Il massimo frutto di questo sforzo analitico è il libro “Tu sei Rete”: lì sono descritte le teorie alla base dell’organizzazione del M5S.

Lui, Davide, dà l’ok alle comunicazioni che partono dallo “Staff di Beppe Grillo”; lui tiene i contatti con i consulenti esterni, in particolare lo studio Montefusco, quello che spedisce, tra l’altro, le lettere di espulsione, cioè di revoca dell’utilizzo del logo del MoVimento che colpisce iscritti, eletti o interi gruppi sul territorio.

Lui è il figlio del capo, sta simpatico a pochi e si scontra spesso con gli altri soci; all’occorrenza fa valere il suo status. Campione di scacchi da bambino, persona riservata e abitudinaria.

Il padre è autorevole.

Il figlio impone metodi e obiettivi. “Conta l’obiettivo” è il suo motto.

Oggi Gianroberto non c’è più.

C’è solo Davide. E’ lui che, da presidente della Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau, nata dopo la scomparsa di Gianroberto, dovrà gestire e risolvere il conflitto di interessi — evidente — tra le attività commerciali e quelle politiche che amministra.

Prima che sia troppo tardi.

Prima che i “movimenti ad alti livelli” nel gruppo parlamentare, a cui si riferisce il già citato dirigente, gli impongano quella “chiarezza di impostazione di tutta la struttura” che non si può permettere di subire, ma deve governare.

C’è gran confusione tra Movimento e blog, tra il ruolo della Casaleggio e quello di Grillo, le ambizioni sfrenate dei rampanti membri del Direttorio e una base sempre più disorientata.

La Casaleggio Associati gestisce alcune attività editoriali commerciali come i portali TzeTze (vero e proprio sito acchiappa click, e su questo ci ritorneremo….) e La Fucina. I proventi vanno ovviamente all’azienda. Casaleggio senior aveva sempre negato una relazione tra questi siti e l’attività politica dei Cinque Stelle, ma proprio il blog di Grillo e la sua pagina Facebook ne sponsorizzavano i contenuti, creando non pochi imbarazzi tra i parlamentari.

Davide e soci non sono amati nel Movimento e le loro azioni, all’interno del gruppo parlamentare, sono oggetto di grandi discussioni. Si pretende chiarezza “ai più alti livelli”. Ma in realtà dietro questa richiesta ognuno si gioca la sua partita.

Obiettivo: i dati del portale Rousseau, di cui Beppe Grillo è responsabile legale, ma che sono amministrati dalla Casaleggio Associati e che, soprattutto, fanno gola ai parlamentari, impegnati nella loro scalata al Movimento.

Casaleggio Associati non è un ente di beneficenza, è una srl. E ha un evidente interesse al controllo di questi dati: conoscere il “profilo” delle persone che hanno a che fare con il Movimento, chi sono, dove abitano, come votano, quanto donano, ha un valore commerciale potenziale incalcolabile. Può essere utile, ad esempio, a indirizzare meglio gli investimenti pubblicitari delle altre attività editoriali: se hai donato spesso, o sei molto attivo sul portale, sarà presumibilmente più probabile che tu sia predisposto ad acquistare un libro che tratta i temi a cui sei interessato.

La rivolta

La Dc aveva le correnti.
Il Pci aveva le correnti.
E certo, anche il Pd, per dire, ha le sue correnti. Così tante che per orientarsi è necessaria una mappa.

Il Movimento Cinque Stelle, no.
Il Movimento è nato come una specie di religione. Lo diceva spesso Gianroberto Casaleggio: “Il nostro messaggio è come quello di Gesù Cristo”.
C’è un verbo e il verbo è il blog. C’è una trinità, venerata: Grillo, Casaleggio e lo spirito santo sotto forma della Rete, che tutto contempla, tutto osserva, tutto alla fine decide. Per tutti.
Mica è un partito, il Movimento Cinque Stelle. E’ qualcosa di più. E’ come un tempio.
E quindi, niente correnti.
Evitare gli scontri interni, la diversità di vedute, ridurre tutte le voci critiche ad una specie di coro unanime.
Evitare a priori le polemiche. Allontanare subito chi si discosta dal “verbo”, chi può avere anche una propria personalità ingombrante. Tanti ricordano ancora il periodo in cui Beppe Grillo aveva appoggiato le candidature di Sonia Alfano a presidente della Regione Sicilia, e poi della stessa Alfano e di Luigi De Magistris al Parlamento Europeo. Ma i du non davano garanzie di essere apostoli ubbidienti, e furono rinnegati in poco tempo.

No, non ha correnti il Movimento Cinque Stelle. Casaleggio i contrasti non solo non voleva risolverli: lui eliminava il problema a monte, non prendeva mai in considerazione che ci fossero divisioni o anche dubbi all’interno dei Cinque Stelle.

“Al primo dubbio, nessun dubbio”, diceva.

Poi è arrivato Luigi Di Maio.
Di Maio, l’uomo che si è fatto corrente, il parlamentare che in parallelo sta creando una sua struttura nel Movimento. Ha una voglia incontenibile di entrare a Palazzo Chigi, in televisione è uno che buca, è ricevuto dagli ambasciatori, fa il tutto esaurito nelle piazze, gli piace la mondanità. Incontenibile, inarrestabile.
Nella santa trinità del Movimento, Di Maio è il quarto incomodo, il nuovo profeta.
Più sale la sua popolarità, però, più aumenta il malessere nel Movimento, dove sono in molti, soprattutto tra i parlamentari, a non capire cosa stia succedendo, a vedere nell’ascesa di questo trentenne il tradimento di alcuni dei valori fondativi.
I sospiri diventano mugugni, i mugugni proteste.
E per la prima volta succede che vengono a galla malumori.
Non sono lamentele solitarie: molti parlamentari, anche agli antipodi tra loro, cominciano a vedersi e a riunirsi, scoprendo di avere in comune un disagio che non può essere più taciuto.
Di riunione in riunione, di incontro in incontro, monta lo scontento.

Il tempio costruito in tanti anni con fatica da Casaleggio e Grillo comincia a sgretolarsi.
Fatidico è il mese di Settembre 2016.
Il Sindaco M5S di Roma, Virginia Raggi, ha appena sbattuto la porta in faccia al Coni sulla candidatura della Capitale alle Olimpiadi del 2024.

Il Ministero della Salute è nell’occhio del ciclone per la campagna sul “Fertility Day”.

I Comuni protestano per il massiccio arrivo di migranti. L’estate è finita.
Sul tempio non splende più il sole. Va in scena la grande rivolta.

Party like a Russian

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Alessandro Di Battista

“Party like a Russian / End of discussion…” canta Robbie Williams nella hit del momento, “Party like a Russian”. Ma non c’è solo lui ad avere l’ambizione di partecipare a certe feste alla corte dell’imperatore Putin. Anche Alessandro Di Battista, Ministro degli Esteri in pectore in un possibile governo dei Cinque Stelle, ha il suo Russian Style. E mica lo nasconde.

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“Che ne dite di farci dare una mano per la campagna sul referendum costituzionale dall’ambasciatore russo? Con tutto quello che stiamo facendo per loro…”

A parlare così è proprio Di Battista. Parole pronunciate negli uffici del gruppo parlamentare tra ottobre e novembre 2016, quando ancora non erano uscite inchieste sulle affinità tra la propaganda pro-Putin e quella del M5S.

Parole che raccontano un contesto, quello internazionale, che vede un attivismo frenetico del Movimento per farsi conoscere — e riconoscere — dall’establishment in Europa e nel mondo. Stiamo parlando di uno dei nodi meno conosciuti della storia del Movimento, quello riguardante la politica estera. Nel programma infatti non c’è nemmeno una riga al riguardo.

Ma perché Di Battista pensa ad alta voce di chiedere aiuto ai russi per la battaglia sul referendum? Cosa c’entra la Russia con l’Italia? E soprattutto, cosa c’entra Putin con i Cinque Stelle?

Fino al 2014, in coincidenza con la guerra in Ucraina, la Russia e Putin erano fuori dagli interessi del Movimento. Anzi, peggio. Putin veniva definito uno “zar dagli affari oscuri”.

Anna Politkovskaya

C’era una volta , prima dello sbarco in Parlamento, il Movimento che esaltava i movimenti di contestazione americani, elevava a suo nume Julian Assange, eleggeva come icona dell’informazione il nemico pubblico numero uno di Putin, Anna Politkovskaja, e le proteste laiche e libertarie delle Pussy Riot; guardava infine con simpatia ai proclami della primavera araba.

Quando Vladimir Putin arriva in Italia, fresco dell’approvazione della prima legge “ammazza blog”, l’accoglienza del Movimento è gelida: “Noi chiediamo che il governo venga a riferire in aula al più presto sugli oscuri affari con lo zar russo’’ recita una nota del gruppo alla Camera.

Fino a tutto il 2013 Putin e la Russia erano davvero lontani dall’orizzonte del Movimento: uno che fa affari oscuri, che discrimina i gay, che uccide la democrazia sul web.


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