Lo schema è lo stesso: la prima parte racconta il passato, la seconda il futuro.
In questo filmato, il V-Day organizzato dallo stesso Casaleggio l’anno prima è presentato come un evento di portata pari alle proteste di Seattle del 1999 o l’elezione di Obama del 2008 (che azzecca, il video è precedente alle elezioni).
Nel 2018 avremmo dovuto avere il mondo diviso in due: l’Occidente dominato dalla democrazia diretta in Internet e l’Oriente, un aggregato di dittature in cui la rete è controllata. Uno scontro culturale che dovrebbe portare il prossimo anno, nel 2020, alla terza guerra mondiale.
Ora, la democrazia diretta qui ancora, per fortuna, non c’è e la rete è sempre stata sotto controllo in oriente. Quello che non aveva previsto, però, è che le nostre tecnologie ci si sarebbero rivolte contro, con i Russi a giocare coi nostri media durante le elezioni. E proprio il suo partito sarebbe stato uno dei cavalli di troia per cercare di manomettere i nostri processi democratici.
Non ci sono tante altre previsioni a breve termine: nel 2040 l’occidente vince la guerra e un governo mondiale viene eletto in Rete (probabilmente con Rousseau…).
Il governo si chiama Gaia, una citazione di Isaac Asimov.
Il video si conclude con le informazioni sul giorno in cui è girato: il 14 agosto 2054, centenario della nascita di Gianroberto Casaleggio.
Ieri sul solito Corriere della Sera (se ve lo state chiedendo: sì, Casaleggio ha degli amichetti al Corriere), c’è un’intervista a Emanuel Mazzilli. Si tratta del programmatore che Casaleggio e Rousseau hanno prelevato da Facebook e messo a lavorare sulla piattaforma.
Ex dipendente anche di Twitter (il che fa capire qualcosina della logica con cui ragionano dalle parti di via Morone, ma questa è un’altra storia), afferma una serie di circostanze che vanno commentate. Alcune sono notizie molto interessanti che aprono finestre sui veri obiettivi di Casaleggio.
Diamo per buono che ha lasciato la California, un lavoro di primo piano in una delle più importanti aziende del mondo per andare da Casaleggio, quello che usava come password amministrativa “davidavi”, perché hanno una “visione comune” su politica e tecnologia.
Mazilli sostiene di aver riscritto “tutte le 14 funzioni esistenti da zero”. Mentre costruiva un team di tecnici che ora coordinerà. Quest’affermazione, detta così, non può essere che una colossale balla. Semplicemente non è possibile fare quanto afferma in 10 mesi.
Primo: la sua esperienza professionale riguarda l’ambito app mobile, territorio completamente diverso da quello in cui opera Rousseau, che è una web app.
Secondo: quel tempo non è minimamente plausibile per “riscrivere da zero tutte le 14 funzioni esistenti” da solo. Proprio non si può fare. Più probabilmente ciò che è stato fatto è una revisione del codice per sistemare i problemi più gravi (ad esempio hanno aggiornato il sistema di login).
Terzo: questa cosa della piattaforma riscritta la ripete più volte. Come se il messaggio che deve passare sia quello. Il che, anche fosse vero, cosa di cui dubito, significa che fino a 10 mesi fa Rousseau era un colabrodo come abbiamo sempre sostenuto mentre Casaleggio lo negava.
La giornalista chiede poi cosa dobbiamo aspettarci per il futuro. Questa è la parte interessante e preoccupante. Sostiene Mazzilli che hanno “progettato il login di Rousseau in modo che possa essere usato per accedere ad altri siti”. Come quando usate Facebook per loggarvi ad altri servizi, così potrete usare Rousseau. Che consente, secondo l’ingegnere, di avere un’identità certificata.
Attenzione, perché sembra che Casaleggio si voglia buttare sul mercato dei servizi digitali per il cittadino e non solo sul voto elettronico come frontiera democratica. La prima cosa che mi viene in mente è che punti a diventare un provider d’identità per SPID. Sarebbe gravissimo: un partito, gestito in quel modo, che fornisce anche identità per accedere all’agenzia delle entrate, al comune, alla posta.
Altra informazione interessante: “Abbiamo un log puntuale degli accessi alle macchine e ai database: qualsiasi cosa facciamo sulle nostre macchine viene registrata”. Riguarda pure quello che succede durante le operazioni di voto quindi. Sarebbe interessante capire quanto puntuale sia il registro perché può essere tranquillamente un bypass all’indicazione di non collegare voti e utenti. Se io traccio su un log in ordine temporale i voti e chi li ha espressi anche in due diversi registri, se faccio il confronto tra i registri posso comunque sapere chi ha votato cosa. Succede questo?
Mazzilli torna dopo mesi a parlare di blockchain per validare il sistema di voto. Ne ho già parlato in passato: la blockchain non serve a nulla in questo ambito (in realtà in nessun ambito, ma va beh…).
Non poteva mancare la bugia sulle passate multe del Garante. Mazzilli sostiene che siano perché avevano sbagliato a scrivere il disclaimer sulla privacy. In realtà perché la piattaforma era insicura: se così non fosse perché mai avrebbe dovuta “riscrivere da zero”?
Non si parla di piattaforma open source, come hanno sostenuto a Italia 5 Stelle ma del progetto che prevede di scrivere collaborativamente l’applicazione mobile. Staremo a vedere, ma il progetto di Casaleggio per la piattaforma Rousseau assume toni sempre più inquietanti.
Chi vuole togliere a Casaleggio la proprietà di Rousseau forse non si rende conto della macchina da soldi di cui si sta parlando. O forse sì, e allora sono stupidi abbastanza da credere che Casaleggio sia disposto a rinunciarvi. Casaleggio grazie a Rousseau raccoglie soldi dai parlamentari e profila gli utenti grazie ai loro dati, materia prima preziosissima.
Al primo punto c’è, tra le altre, la richiesta che la piattaforma Rousseau diventi di esclusiva proprietà del Movimento 5 Stelle. Ora è posseduta e gestita dall’omonima Associazione, a sua volta di proprietà di Davide Casaleggio e tre suoi tirapiedi.
È ingenuo, se non idiota, pensare che Casaleggio possa rinunciare alla proprietà di Rousseau.
L’investimento
Anzitutto, la piattaforma è il frutto dell’investimento di dodici anni prima di Casaleggio Associati, quasi fallita per portare avanti questo progetto, poi dell’Associazione.
Quando Davide Casaleggio ha spostato l’ha spostata dall’azienda verso l’associazione, ha cominciato a pretendere dai parlamentari un contributo per lo sviluppo e la manutenzione. Questo gli consente di drenare quasi 8 milioni di euro a legislatura, sebbene pare che molti parlamentari si stiano rifiutando di pagare il servizio.
Gestire un flusso di denaro del genere permette di gestire potere, a cui Casaleggio difficilmente rinuncerà.
Questi soldi hanno permesso di costruire un prodotto che presto potrebbe diventare profittevole. Non a caso Casaleggio è andato a promuoverlo alle Nazioni Unite: l’obiettivo è chiaramente piazzare la sua merce all’estero.
C’è altro: i dati.
Come Casaleggio profila gli utenti
Anche se Casaleggio lo nega, tramite Rousseau e il Blog delle Stelle (prima quello di Beppe Grillo) ha costruito negli anni e alimenta tutt’ora un database di utenti a cui sono associati specifici comportamenti.
Non solo tramite il voto: qualsiasi azione all’interno del sito e della piattaforma gli consente di tracciare un profilo, un “modello” di comportamento sia per ciascun iscritto che generale.
Rousseau gestisce molte attività: raccolte fondi, proposte di legge, organizzazione di eventi. Quando un iscritto partecipa, quell’azione consente a Casaleggio di capire a quale “stimolo” ha risposto per compierla. Gli utenti si coinvolgono meglio inviando loro una mail? Un SMS? Un titolo è più efficace di un altro? Quante volte gli utenti aprono le email, quante volte cliccano sui link proposti? Chi accede più spesso alla piattaforma è poi più propenso a fare una donazione? L’entità della donazione a quali comportamenti è correlata?
Peraltro, come conferma la Privacy Policy, la navigazione sui siti di Rousseau è monitorata tramite Google Analytics, Facebook e Twitter. Davide sa tutto dei suoi utenti.
La prova è pure abbastanza visibile nei commenti del Blog Delle Stelle. Accanto al nome di molti utenti sono presenti delle iconcine. Era una vecchia idea di Gianroberto Casaleggio, che gli ha consentito negli anni di profilare, individuare facilmente gli utenti più “fedeli”. A ogni logo corrisponde un evento a cui quell’utente ha partecipato: Il V-Day, Woodstock 5 Stelle, una campagna di donazioni e, da poco, anche l’iscrizione a Rousseau. Gli utenti sono tutti accuratamente profilati e controllati.
Sono informazioni preziosissime che hanno un valore commerciale. Conoscere il comportamento e le reazioni degli utenti sulla base di specifiche azioni, consente di creare dei modelli applicabili ad altri mercati o con altri clienti. Se domani Casaleggio decidesse di permettere l’utilizzo di Rousseau a partiti esteri, potrebbe vendere un servizio affinato negli anni sulla base della profilazione degli utenti prima del Blog di Grillo e ora di Rousseau / Blog delle Stelle. Un vantaggio competitivo importante.
La Cambridge Analytica italiana
Vi ricorda qualcosa? Rousseau adesso e Casaleggio Associati prima stanno facendo la stesso cosa che ha fatto Cambridge Analytica. La società inglese ha utilizzato i dati raccolti per profilare gli utenti con lo scopo di proporre pubblicità politiche personalizzate. I dati, peraltro, erano illecitamente raccolti, una circostanza che ricorda il modo in cui venivano gestiti dalle parti di Via Morone, per il quale Rousseau è stata multata due volte per un totale di 80.000 euro.
L’utilizzo che fa Casaleggio dei dati che profila è forse più inquietante: Rousseau viene utilizzata per prendere decisioni fondamentali che riguardano la vita pubblica del nostro Paese. Dal salvataggio di Salvini dai processi alla formazione dei governi. Saper prevedere come reagiranno gli utenti a un certo stimolo, una domanda posta in un certo modo, una comunicazione inviata in un certo momento gli permette di orientare le decisioni più importanti.
Inoltre, se volesse utilizzare questi dati per migliorare l’offerta della propria società, Casaleggio Associati, noi non lo sapremmo mai. Non ci sarebbe bisogno di un passaggio effettivo di dati: Davide conosce bene i risultati delle analisi che conduce in Rousseau e non servono azioni per trasferire questa conoscenza fuori dall’associazione verso l’azienda.
Resta da capire se sia lecito aggregare i dati di profilazione di servizi diversi (Rousseau, Il Blog delle Stelle, gli eventi organizzati, le donazioni) per alimentare il database di un ente commerciale che ne può estrarre modelli derivati.
Di certo, tutto questo Casaleggio non lo consegnerà gratuitamente a Barillari.
Torniamo a commentare la lettera di Davide Casaleggio al Corriere della Sera. Lo faccio perché il Corriere ha deciso di pubblicarla senza commenti, senza controdeduzioni, senza repliche: se nessuno si occupa di confutare punto per punto le tesi di Casaleggio, il rischio è che vengano prese per buone.
Nel mio piccolo, ho già scritto del primo e del secondo paradosso che secondo Casaleggio staremmo vivendo. Oggi ci occupiamo del terzo, chiamato del “delegante a sua insaputa”.
Il tema è l’organizzazione del consenso e la struttura dei partiti. Secondo Casaleggio c’è una contraddizione nel contestare che il M5s usi Rousseau per votare su tutto e difendere la struttura organizzativa dei partiti. La migliore organizzazione, infatti, sarebbe quella che consegna il potere decisionale al maggior numero di persone possibile.
Anche in questo caso, il ragionamento di Casaleggio parte da presupposti sbagliati, almeno due: che partecipazione coincida con voto e che le decisioni prese da un maggior numero di persone siano automaticamente decisioni migliori.
Tralasciamo il fatto che l’Erede lamenta il fatto che i partiti hanno di solito solo l’1% d’iscritti rispetto ai propri elettori, problema che sarebbe risolto con la tecnologia che aumenterebbe la partecipazione. Questo non è vero mai, almeno finora. Nemmeno per il suo Movimento: gli iscritti sono circa centomila, gli elettori undici milioni. L’1%.
Partecipazione non è (solo) voto
Detto questo, Casaleggio sbaglia nel ridurre la partecipazione al solo voto. Partecipare alla vita politica della propria comunità vuol dire molto di più. Significa discutere, conoscere, studiare, incontrare le persone, vivere la comunità. Il voto è, o dovrebbe essere, solo l’atto finale di un percorso deliberativo. Soprattutto, quando si chiama qualcuno al voto ci si dovrebbe assicurare che chi viene interpellato sia stato adeguatamente formato e informato sul tema in discussione.
Questo è uno dei motivi per cui abbiamo inventato la rappresentanza: non per limiti geografici, come sostiene Casaleggio, ma perché affidiamo le scelte a qualcuno incaricato di approfondire i problemi e trovare soluzioni. Soprattutto, ad assumersi la responsabilità delle decisioni.
Il modello Rousseau, la democrazia diretta, non contempla il concetto di responsabilità. Tutti votano su tutto e nessuno si assume la responsabilità di nulla. Infatti, anche i voti del Movimento su Rousseau sono sempre ratifiche delle decisioni prese dai capi, che quindi non sbagliano mai. E se non sbagliano mai allora perché cambiarli? È un circolo vizioso che tende ad accrescere il potere di chi conquista il vertice dell’organizzazione.
La qualità delle decisioni
Inoltre, le decisioni prese su temi specifici non sono necessariamente migliori se l’intera base viene coinvolta. Maggiore è il numero di persone, minore tende a essere la competenza media sul tema su cui si è chiamati a decidere.
Infatti, anche quando lo Stato acconsente a chiamare l’intero corpo elettorale a prendere una decisione specifica, lo fa con limiti molto stringenti e tramite processi che assicurino la massima e migliore informazione possibile sull’argomento.
Il modo in cui Casaleggio e Rousseau hanno dimostrato di voler utilizzare i loro iscritti prevede, anzi, che le votazioni arrivino a sorpresa, senza il tempo necessario ad approfondire l’argomento in discussione, con quesiti scritti nella maggior parte dei casi per orientare verso la scelta preferita dai vertici. Infatti, puntualmente, quella scelta è sempre risultata vincente.
L’avvocato Lorenzo Borrè, che difende molti attivisti del Movimento espulsi dal partito, ha scritto un lungo articolo per spiegare l’assurdità dell’organizzazione del partito di cui si contano ben tre associazioni M5s.
L’abbiamo documentato anche nel nostro libro Il Sistema Casaleggio io e Nicola Biondo: attorno al Movimento c’è un groviglio di soggetti giuridici che serve per confondere elettori e autorità, utile solo a consentire a Casaleggio e Di Maio a tenere le mani su dati e soldi.
Spiega Borrè che ci sono tre associazioni denominate “Movimento 5 Stelle”. Una fondata nel 2009, quella del famoso non-statuto. Una fondata nel 2012 con lo scopo di presentarsi alle politiche del 2013: soci sono Grillo, suo nipote, il suo commercialista. Una, infine, fondata nel 2017 da Davide Casaleggio e Luigi Di Maio.
Vi suggerisco di leggere con attenzione il racconto di Borrè. È molto lungo e complesso, come lo è questa vicenda. In sintesi, Tra il 2009 e il 2018 i vertici del Movimento sfruttano il marchio e gli strumenti di comunicazione a proprio piacimento, in violazione delle norme civili sull’associazionismo. Escludendo candidati, espellendo attivisti, eleggendo consiglieri, deliberando il programma, sfruttando il sito movimento5stelle.it per la propaganda.
Nel tempo, anche grazie all’Avvocato Borrè, la magistratura stabilisce l’illiceità di numerosi di questi comportamenti, che avvengono in violazione soprattutto dei diritti degl’iscritti al primo Movimento, quello fondato nel 2009.
Casaleggio e la gestione dei dati
Aggiungo io: tra il 2016 e il 2017 l’intervento del Garante della Privacy ha stabilito un ulteriore piano di confusione. Davide Casaleggio e Beppe Grillo hanno gestito i dati del Movimento del 2009 come se fossero di proprietà dell’associazione del 2012. Inoltre, nel passaggio all’associazione Rousseau dalla Casaleggio Associati, non vengono avvisati correttamente gli utenti del cambio del titolare del trattamento. Il Garante si rivolge a Casaleggio in qualità di presidente di Casaleggio Associati. Casaleggio replica in qualità di presidente di Rousseau, salvo poi consegnare la documentazione richiesta tramite la casella email certificata proprio di Casaleggio Associati. Un disastro. Infatti Rousseau paga multe prima per 30.000 poi per altri 50.000 euro.
Tra le irregolarità contestate, il Garante rileva il fatto che nessuno ha di fatto l’autorizzazione alla gestione dei dati. A Rousseau viene concessa una mediazione: utilizzare i dati già posseduti per chiedere nuovamente il permesso al trattamento.
Le due associazioni M5s vampirizzate dalla terza
Casaleggio e Di Maio colgono l’occasione, fondano l’associazione Movimento 5 Stelle del 2017. Attraverso il database iscritti del 2009 contattano tutti gli utenti, gli chiedono di aderire al “nuovo” Movimento ed escludono chi non sottoscrive dalla piattaforma Rousseau.
Come spiega Borrè, Casaleggio e Di Maio vampirizzano tutte le realtà precedenti, utilizzando logo e strumenti, lasciando senza possibilità di ottenere giustizia gli espulsi dalle precedenti associazioni. Di Maio diventa capo politico, Casaleggio fa inserire Rousseau nel nuovo statuto per assicurarsi un fiume di denaro dai parlamentari.
Il 31 agosto 2019, prima del voto sul governo M5s-PD, Casaleggio pubblica sul sito dell’Associazione Rousseau – il Blog delle Stelle – quelle che chiama 10 “fake news” da sfatare sulla sua piattaforma. In questo articolo commentiamo la terza e la quarta, perché il voto su Rousseau non è segreto né sicuro.
Questa serie di articoli – qui il primo – torneranno utili al prossimo voto rilevante sulla piattaforma casaleggese.
Ebbene, Casaleggio nega che bug o errori possano consentire a un utente di votare più volte e che il voto sia riconducibile al singolo utente. Come? Ci sono due tabelle in cui vengono registrate distintamente la partecipazione a un voto e la scelta operata. Per questo solo fatto, spiega, non si può risalire alle preferenze degli attivisti. Inoltre, un solo accoppiamento voto-votante è possibile, ci spiega.
Il fatto che non sia più possibile collegare voto e votante sembra rispondere a una precisa richiesta del Garante della Privacy.
Rousseau segreto, sicuro, verificabile?
Purtroppo non conosciamo il codice di Rousseau né l’architettura del database perché Rousseau li mantiene gelosamente segreti. Dobbiamo fidarci di quello che ci dice Casaleggio, che notoriamente ha un rapporto diciamo conflittuale con la realtà. Questo significa che potrebbero esserci errori di programmazione che nemmeno lui conosce. Questo è molto probabile: Rousseau è una piattaforma proprietaria, sviluppata da un numero ristretto di tecnici e non c’è una procedura codificata per segnalare problemi o bug e tracciarne la risoluzione. Un pessimo modo di gestire un progetto informatico.
Ammettiamo però che incidentalmente dica il vero e – come ipotesi di scuola – che non ci siano errori di programmazione o disservizi durante il voto. Questa soluzione non risolve comunque il problema della segretezza del voto, anzi aggiunge quello della certezza e quello della verificabilità del voto. Infatti, ci sono decine di altri modi per ricollegare il voto al votante. Attraverso i registri, per esempio, che potrebbero essere tutti in ordine cronologico. Sapendo l’ordine dei voti e dei votanti è immediato risalire all’autore di ogni singola preferenza.
Seguiamo comunque il paragone col voto cartaceo che utilizza Casaleggio.
Quando mi reco al seggio, vengo identificato col mio documento e viene segnato sul registro che ho votato per evitare che lo possa fare due volte. Mi viene consegnata una scheda vidimata a cui viene applicato un contrassegno, mi reco in cabina, voto, esco, la scheda viene inserita nell’urna. Alla chiusura dei seggi le schede vengono contate pubblicamente in presenza dei testimoni, rappresentanti di lista e chiunque desideri assistere.
Grazie a questo processo il voto è segreto (nessuno vede la mia preferenza, la mia scheda non è riconoscibile), ma pure certo e verificabile. Certo, perché ho la sicurezza che non venga modificato: la scheda inserita nell’urna rivedrà la luce solo quando la scatola è aperta e i voti conteggiati. Verificabile, perché posso, se voglio, assistere allo spoglio e al conteggio delle schede. Anche in caso di errore, o perfino di manomissione del voto di un singolo seggio, essendo i seggi migliaia ho la ragionevole certezza che – in generale – il processo sia sicuro.
Col voto a distanza, soprattutto quello in rete, una volta che ho fatto clic non so cosa succede. Da lì in poi devo necessariamente fidarmi. Fidarmi delle decine di macchine che il mio segnale attraversa per arrivare al server. Del server stesso.. Dei programmatori. Degli amministratori di sistema. Del sistema di conteggio. Ci sono decine di momenti del processo che possono essere compromessi. Inoltre, la centralizzazione del sistema di voto comporta che una singola manomissione possa compromettere o manomettere l’esito dell’intera consultazione. Non c’è, in questo momento, tecnologia che possa garantire un voto remoto in termini di segretezza, certezza e verificabilità. Semplicemente, non esiste.
Il traffico sul server
Nel post in questione, Rousseau sostiene che l’aggiornamento dei server consenta ora una maggiore sicurezza e velocità delle operazioni di voto. Cita una serie di dati statistici relativi all’ultima operazione di voto prima di quell’articolo, con l’intento di dimostrare che la piattaforma possa gestire un elevato traffico durante le operazioni di voto.
Non c’è dubbio che rispetto a qualche anno fa l’infrastruttura sia migliorata. Ciò detto il solo fatto di poter aumentare le risorse disponibili ovviamente non garantisce affatto che non ci siano stati “errori nel processare i voti”. I sistemi che Casaleggio cita spesso come sicuri e di nuova implementazione, nell’area voto, sono tutt’altro che immuni da problemi di sicurezza. Keycloak, per esempio, presenta numerose falle conosciute. Va in oltre ricordato un fatto statistico: il 70% delle violazioni di sicurezza non sono note. Vale a dire che in 7 casi su 10, chi subisce un attacco informatico non sa di subirlo.
Ci possono essere inoltre attacchi di tipologia non ancora conosciuta.
Insomma, il voto su Rousseau non è affatto segreto, sicuro, immune dagli attacchi o più efficiente del voto cartaceo.
Commento la seconda parte della lettera di Casaleggio al Corriere della Sera che parla di partecipazione. Qui trovate la prima parte. Come ho già scritto, ritengo importante commentare queste deliranti teorie perché se nessuno lo fa il rischio è che si dia per scontata la loro validità.
Nel primo articolo abbiamo affrontato il tema della rappresentanza. Oggi quello della tecnologia.
Lo scopo di Casaleggio è quello di promuovere la digitalizzazione dei processi democratici. Lo fa per un duplice vantaggio: l’azienda che presiede, Casaleggio Associati, fornisce ai propri clienti consulenza nel campo tecnologico legato alla rete. Se il pubblico accetta che ci siano vantaggi nel digitalizzare ogni processo, i suoi servizi aumentano di valore. Il secondo motivo è che con l’Associazione Rousseau Casaleggio è direttamente in questo business. Rousseau vende servizi di amministrazione di grandi organizzazioni. Quello è il suo prodotto. Abbiamo già visto come il riferimento, nel suo scritto, a realtà diverse dalla politica, come i sindacati e l’azionariato, non sia casuale.
Il secondo “paradosso” è quello chiamato “luddista con lo smartphone”. Secondo l’Erede, chi sottolinea il rischio di applicare determinate tecnologie al voto lo fa per paura della stessa tecnologia che utilizza per altre cose.
Il paragone viene fatto con i sistemi di pagamento e la prenotazione di voli e treni: ci siamo adattati alle tecnologie per questi servizi, perché non farlo col voto?
Gli errori logici di Casaleggio
La riflessione di Casaleggio è fallace per almeno tre motivi.
Primo, sono paragonati processi – e quindi rischi – diversi. La gestione del mio denaro e la prenotazione di un viaggio sono azioni che riguardano rapporti tra privati. Io e la banca, io e l’azienda di trasporto. Il voto e la partecipazione attengono al mio rapporto con la collettività. Le conseguenze di eventuali problemi tecnici o tecnologici possono avere conseguenze sulla mia persona. Posso accettare il rischio di un disservizio sulla prenotazione di un treno e sulla consultazione dell’estratto conto.
Non si può accettare alcun rischio aggiuntivo rispetto all’esercizio del voto. Non devo nemmeno essere messo nelle condizioni di poterlo accettare, perché le conseguenze degli eventuali “disservizi” ricadono sull’intera collettività.
Secondo: è falso dire che chi teme il voto elettronico lo faccia per paura della tecnologia. È vero l’esatto contrario. Sono esattamente gli esperti di tecnologia – per inciso Casaleggio non è un tecnico, è laureato in economia e commercio ed è un imprenditore – i più critici verso l’uso della tecnologia in questo campo. Proprio perché conoscono i limiti e i rischi sanno che il voto a distanza, soprattutto il voto in rete, è più pericoloso di quello cartaceo. I rischi di brogli, errori anche in buona fede, manipolazioni sono infinitamente più alti, come ho spiegato molte volte. Non è possibile, allo stato attuale della tecnologia, costruire un sistema di voto che sia sicuro in termini di certezza dell’espressione di voto, segretezza e verificabilità. Non si può proprio fare. La rete Internet è peraltro un’infrastruttura commerciale pensata con standard di sicurezza e affidabilità infinitamente inferiori a quelli che sarebbero necessari.
Il medium è determinante per la partecipazione
Terzo: la democrazia, la partecipazione alla vita pubblica, la politica sono attività che implicano relazioni sociali. È stato anche dimostrato, ma è facile intuire come sia falso che il medium sia uno strumento neutro in questo ambito, come sostiene Casaleggio. Lo abbiamo sperimentato tutti: la tecnologia negli ultimi anni ha profondamente mutato le nostre relazioni, la nostra vita sociale. È cambiato il modo in cui ci rapportiamo ai nostri amici, parenti, compagni, in cui troviamo partner sessuali, il modo in cui si formano le nostre idee.
Davide Casaleggio quando afferma che il medium quando si partecipa è un semplice strumento mente sapendo di mentire. Suo padre Gianroberto era il primo a sapere che tramite gli strumenti tecnologici si possa facilmente manipolare le opinioni e orientare il consenso. Lo ha sperimentato per anni quando dirigeva WebEgg, lo ha messo in pratica quando curava il Blog di Grillo e costruiva il movimento.
Lo sosteneva quando parlava, per esempio, delle piattaforme di voto che aveva studiato, come LiquidFeedback. Era troppo complicata, sosteneva, tanto che il Partito Pirata era fallito proprio per la scarsa semplicità dei suoi strumenti di partecipazione. Peraltro, lo stesso Davide Casaleggio ha spiegato nel suo libro “Tu sei Rete” come sia possibile manipolare il consenso tramite le reti sociali.
Per aumentare la partecipazione bisogna semplificare il processo e gli strumenti, a costo della qualità del dibattito e del prodotto culturale. Se aumenta la partecipazione ma scende la qualità, si è solo trovata nuova “manodopera” per il proprio partito. Nel caso del voto, abbassare la qualità equivale ad aumentare la probabilità di manipolazione. Il modo in cui sono formulate le domande, il posizionamento delle opzioni di voto, perfino l’interfaccia, i colori dei pulsanti, le dimensioni dei bottoni, il numero di verifiche richieste ha conseguenze sull’esito della scelta. Il medium, soprattutto nel caso del voto, è tutt’altro che uno strumento neutro.
Qualità e quantità
Peraltro, anche in termini di quantità non è vero che il voto elettronico diminuisca la propensione all’astensione. Lo dimostrano ricerche sull’esperienza Estone, ad esempio.
Insomma, digitalizzare un processo delicato come l’espressione del voto non migliora la qualità del prodotto culturale, politico e sociale né aumenta il numero di attivi nelle scelte. Aumenta solo i rischi di manipolazione del voto, errori e interferenze.
Tant’è che in alcuni paesi la votazione digitale è stata resa incostituzionale (in Germania) e alcuni Stati americani la stanno mettendo al bando.
Lunedì sera, ne abbiamo parlato ieri, Davide Casaleggio è intervenuto ad un incontro a margine dell’Assemblea generale dell’ONU, organizzato dal governo italiano, sulla cittadinanza digitale.
Come ho già spiegato, l’operazione sembra davvero interamente commerciale. L’organizzazione era iniziata col governo precedente, ma il Ministro Moavero non sapeva che Casaleggio avrebbe presenziato. Non si capisce a che titolo Casaleggio sia intervenuto: non è un esperto del settore, l’unica esperienza in campo digitale pratico, la piattaforma Rousseau, è disastroso. Se invece riflettiamo sul fatto che sia Casaleggio Associati, la sua società, sia l’Associazione Rousseau hanno interessi commerciali nel settore, tutto diventa molto più chiaro.
Tutti gli altri partecipanti avevano competenze specifiche o ruoli di rappresentanza. Nessuno ha parlato di voto via internet. Per il resto del mondo, la cittadinanza digitale non è questo. Per cittadinanza digitale s’intende l’insieme di servizi dell’amministrazione pubblica per semplificare i processi quotidiani, garantire diritti e salute, migliorare la qualità della vita. Tutti, nessuno escluso, hanno sottolineato l’importanza della sicurezza informatica e del corretto trattamento dei dati personali. In mancanza di queste due precondizioni, si scivola in una società del controllo dove i cittadini sono vittime di abusi da parte dei potenti.
Non sapevano, i relatori, chi fosse Casaleggio, seduto allo stesso tavolo. Un potente, proprietario di un partito al governo, che con l’abuso dei dati ha profilato gl’iscritti al suo partito, tramite una piattaforma nota per essere stata violata più volte, che non possiede i minimi standard di sicurezza richiesti negli anni Novanta.
Casaleggio ha perso il futuro
La quasi totalità dell’intervento di Casaleggio guardava indietro. Partito da metà dello scorso millennio, ci mette quasi 6 degli 8 minuti per arrivare ai giorni nostri. Le precedenti relazioni erano, invece, proiettate all’oggi e al domani, alle sfide concrete, documentate che i governi dei paesi sviluppati e in via di sviluppo affrontano e vincono. Ai problemi che hanno risolto e alle minacce che la digitalizzazione porta inevitabilmente con sé. “Più si diffonde la digitalizzazione del mio paese, più aumentano gli attacchi informatici, è un problema che va risolto” spiega il rappresentante del Bangladesh.
Casaleggio spiega, lasciando tutti basiti, che grazie all’industrializzazione le donne hanno potuto iniziare a lavorare perché “non facevano più fatica fisica”. I diritti delle donne, dei minori sono subordinati al progresso tecnologico, non esistono in quanto tali. Uno schifo.
Passando per la promozione di Rousseau, del Movimento (a proposito: è lecito nella grammatica diplomatica internazionale pubblicizzare un partito alle Nazioni Unite?) e del V-Day, Casaleggio spiega che dobbiamo inserire nel concetto di cittadinanza digitale la partecipazione ai processi politici.
All’ONU Casaleggio, insomma, promuove la sua realtà politica, la sua figura di presunto esperto di cittadinanza digitale, i servizi e i temi sui quali ha interessi economici e commerciali sia con Casaleggio Associati che con l’Associazione Rousseau.
Un oltraggio all’immagine del nostro Paese, che piega il governo all’interesse del capo del suo partito. Proprio come gli ultimi 25 anni.
Ieri sera (ora italiana) Casaleggio ha tenuto un discorso a un evento collaterale all’ONU. L’evento è organizzato dal governo italiano in circostanze, tanto per cambiare, piuttosto singolari. L’ex ministro degli esteri Moavero Milanesi ha dichiarato che fu Di Maio ha chiedere di preparare la conferenza senza informarlo che Casaleggio avrebbe partecipato.
Il tema è la democrazia digitale. Casaleggio sostiene che Rousseau sia un caso di studio internazionale, che all’estero siano molto interessati all’esperienza italiana. In realtà è una balla: nessuno conosce davvero Rousseau e quando se ne parla è in termini negativi.
È proprio questo il problema di Casaleggio: la sua necessità è quella di promuovere la propria figura come quella di un esperto di democrazia diretta e la piattaforma Rousseau come applicazione di maggior successo nel settore. Davide in realtà non è affatto un esperto di democrazia, diretta o meno. Ha una laurea in economia con una tesi sul marketing digitale. L’associazione Rousseau è stata multata due volte per il disastro tecnico e manageriale con cui hanno trattato i dati sensibili degli utenti.
Ripulirsi l’immagine
Casaleggio ha quindi necessità di ripulire la sua immagine disastrosa di manager e promuovere il suo prodotto dopo il fallimento delle alleanze in europa che avrebbero dovuto portare nuovi clienti per quell’ente commerciale che è l’Associazione Rousseau. Ricordate? Di Maio aveva garantito accesso alla piattaforma per i potenziali alleati. La stessa piattaforma che i parlamentari del Movimento pagano 300 euro al mese.
Di Maio quindi, come abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio, si comporta come il procuratore di affari per Davide Casaleggio che, in cambio, gli lascia gestire il braccio politico del suo gruppo, cioè il Movimento 5 Stelle. Questo è il reale motivo per cui ha mandato Casaleggio all’ONU.
Così andrebbe raccontata questa incresciosa vicenda. Se potete, fatelo sapere ai vostri conoscenti condividendo questo articolo.
Il 31 agosto 2019, prima del voto sul governo M5s-PD, Casaleggio pubblica sul sito dell’Associazione Rousseau – il Blog delle Stelle – quelle che chiama 10 “fake news” da sfatare sulla sua piattaforma. In questo articolo analizziamo i primi due punti che riguardano la proprietà di Rousseau e la sua sicurezza.
Sono, in tutto o in parte, balle. Vale la pena preparare una serie di articoli che torneranno certamente utili al prossimo voto.
La proprietà
Scrive Casaleggio: “La piattaforma Rousseau è gestita da un’azienda privata, la Casaleggio Associati Srl. FAKE NEWS”.
Sì, la piattaforma Rousseau è gestita da un soggetto privato. Prima era Casaleggio Associati, dal 2016 è l’Associazione Rousseau. L’Associazione è stata fondata, in circostanze singolari, da Gianroberto e Davide Casaleggio. Il primo sarebbe morto quattro giorni dopo. I due sono anche i fondatori di Casaleggio Associati. Rousseau viene fondata come spin-off di Casaleggio Associati, per salvare l’azienda dagli elevati costi del progetto. Ai fini fiscali, Rousseau è considerata un ente commerciale che vende i suoi servizi ai parlamentari del Movimento 5 Stelle, grazie allo Statuto del partito scritto da Luca Lanzalone.
Davide Casaleggio assomma tutte le cariche sociali di Rousseau e la gestisce come se fosse la tesoreria del partito. Rousseau è in realtà, come spiegato, uno spin-off di Casaleggio Associati tramite il quale Casaleggio si fa finanziare il suo progetto con soldi di provenienza pubblica.
La sicurezza
Al punto due di quel divertente articolo, si legge: “Il voto per il Progetto di Governo non è sicuro. La piattaforma su cui si voterà è stata multata dal Garante della privacy . FAKE NEWS”
Per quanto riguarda l’infrastruttura, ci sono stati dei miglioramenti, avendo Casaleggio deciso di affidarsi a un’azienda specializzata. Sul codice invece non sappiamo nulla. Zero.
Casaleggio non ha mai rilasciato i sorgenti, quindi non sappiamo come siano calcolate le preferenze, se ci siano errori, se siano tracciati e profilati gli utenti. Sicuramente il voto, in queste condizioni, è ancora da considerarsi manipolabile.
Si dice pure che questa piattaforma è diversa rispetto a quella multata dal Garante della Privacy, ma non c’è modo, per ora, di tenere tracciati gli aggiornamenti. Anche quelli annunciati, però, non sono sufficienti per considerare affidabile il sistema. Il Garante ha già sottolineato come siano irrilevanti rispetto ai limiti tecnici e manageriali scoperti durante le loro ispezioni. Lo hanno detto esplicitamente in un comunicato il 5 aprile 2019.
Va inoltre ricordato che Rousseau e Casaleggio non hanno impugnato l’esito dell’istruttoria che ha portato alle multe: erano state violate regole, prassi, leggi.
Su proprietà e sicurezza di Rousseau, a mio avviso, si dovrebbero fare molti più approfondimenti con strumenti più simili a quelli delle procure che a quelli dei giornalisti.