Il 19 settembre compare sul Blog delle Stelle un post (preceduto da un’intervista sul Fatto di Enrica Sabatini) in cui l’Associazione di Casaleggio invita “gli sviluppatori” a contribuire a Rousseau. Bello, finalmente rendono disponibile il codice, la piattaforma diventa Open Source! Così dice la Sabatini al Fatto, ma è – come spesso accade quando si tratta dei casaleggesi – di una balla.
Il post è un minestrone di termini tecnici o in inglese buttati lì un po’ a casaccio per impressionare. In realtà è un semplice annuncio di lavoro, peraltro molto italiano.
Non si fa cenno alla fascia di stipendio, si elencano una serie di tecnologie che “si stanno valutando” per sviluppare “le App” in “crowdsourcing” che i “contributor” sarebbe meglio conoscessero. Ma sono “aperti anche a chi conosce altre tecnologie ed ha (la d eufonica posizionata cinofallicamente è loro) voglia di imparare”. Cosa, non si sa.
Questi “contributor” saranno coordinati nientemeno che da uno sviluppatore della Silicon Valley – mecojoni.
Tutto questo per dire cosa? Che Casaleggio cerca gente che probabilmente non verrà pagata per cercare bug in un codice che scriverà il suo team di sviluppo. Del resto lavorare gratis è una delle attraenti tesi del mitico sociologo di riferimento De Masi. Attenzione: non si tratta della piattaforma vera e propria. Il codice di Rousseau non verrà condiviso né rivelato. Si tratta di sviluppare solo le applicazioni che, collegandosi a Rousseau, permetteranno di effettuare alcune operazioni.
Eh sì, perché Rousseau non è affatto un progetto Open Source né lo sta diventando. È il prodotto in un ente commerciale, venduto come servizio agli eletti del Movimento Cinque Stelle. Oggi. Domani a chissà chi altro.
Rousseau però vuole farlo testare ad altri, per scovare gli errori prima di rendere disponibili le applicazioni. Il che è in effetti una buona pratica, ma di solito quando si tratta di prodotti proprietari è un’attività che viene retribuita, e pure bene.
Fatto così, Casaleggio riuscirà solo ad attrarre i soliti cialtroni che cercano i loro quindici minuti di notorietà gratis. Altro che Rousseau open source.
I dati regalati al partito di famiglia
C’è di più. Il processo di selezione è non solo abbastanza ridicolo, ma pure vagamente borderline per quanto riguarda la gestione dei dati personali.
Perché mai l’Associazione Rousseau fa una “call internazionale” per programmatori e subito cede i miei dati a un partito politico? Stiamo scherzando? Evidentemente non sono bastati gli 80.000 euro di multa comminati dal Garante della Privacy. C’è ancora molto lavoro per gli uffici dell’autorità.
Non è un’intervista, non è accompagnata da riflessioni di intellettuali, giuristi o giornalisti. Casaleggio scrive, il Corriere pubblica. È importante replicare, raccogliere la sfida di Casaleggio perché, credetemi, è semplice vincerla. Davide Casaleggio non è interessato alla politica o alla democrazia. È un pensatore intellettualmente timido, che infatti rifiuta e teme il confronto. Gli vanno però riconosciute due qualità: capacità di adattamento e pazienza. Pubblicare una lettera simile sul Corriere serve a ribadire il suo ruolo apicale nel Movimento e a guidare un dibattito che, in realtà, nemmeno esiste. Casaleggio vuole creare uno spazio tutto suo per poter essere, al suo interno, il dominus.
Vi segnalo alcuni commenti prima di aggiungere il mio, che sarà lungo: per ogni “paradosso” – Casaleggio ne ha elencati sette – farò un post e un video. Li trovate su Next Quotidiano, sul Foglio, sull’Huffington Post e su U&B.
La cittadinanza digitale
Davide, dicevo, vuole creare uno spazio di discussione per dominarlo. È quello di un tema sostanzialmente inesistente che dichiara nell’incipit: l’era della cittadinanza digitale ci farebbe precipitare in un dilemma, cioè se sia opportuno utilizzare la tecnologia per soppiantare i processi democratici che abbiamo costruito in centinaia di anni di evoluzione sociale.
In realtà il dilemma è già stato risolto, almeno in buona parte del mondo: stiamo già usando la tecnologia per migliorare i servizi di cittadinanza. L’Italia certamente ha molto da fare ancora, ma in molti paesi il rapporto dei cittadini con lo Stato e i suoi servizi è quasi completamente digitale. Io vivo nel Regno unito e non ho mai dovuto mettere piede in un ufficio pubblico, eccezion fatta per la richiesta dell’equivalente del codice fiscale, per cui è prevista la presenza fisica al Job Center.
L’uso della tecnologia semplifica e razionalizza i processi e i servizi, ma l’anagrafe è sempre l’anagrafe, una denuncia rimane tale anche quando si fa per via telematica, prendere appuntamento sul sito del comune o al telefono non cambia la sostanza dell’esigenza.
Il perimetro della rappresentanza
Casaleggio vuole andare oltre: cambiare dalle fondamenta la struttura della nostra democrazia, del concetto di rappresentanza e di responsabilità. In ogni settore, dai consigli di amministrazione ai parlamenti. Dice: “Il rappresentato dovrebbe decidere sempre, salvo quando lo può fare solo il suo rappresentante”.
Perché Casaleggio pone questo problema? Perché possiede un ente commerciale, l’Associazione Rousseau, che opera in questo settore: la digitalizzazione dei processi decisionali. Non è un soggetto economicamente neutrale, ha l’interesse a promuovere la necessità di digitalizzare i processi decisionali, il voto per esempio, per il proprio tornaconto economico.
Ciò detto, cosa significa “quando lo può fare solo il suo rappresentante”? Chi decide, qual è il discrimine? Tutti possono votare su tutto, sempre?
La tesi di Casaleggio è che la rappresentanza sia stat necessaria perché risolveva il problema dell’efficienza decisionale “non all’incompetenza nel saper decidere cosa è meglio”. È falso. La teoria dei giochi, il dilemma del prigioniero, la teoria economica ci spiegano che una decisione ottima può essere presa solo quando il decisore può accedere alla totalità delle informazioni. Casaleggio, peraltro, dovrebbe saperlo essendo un bravo scacchista e avendo studiato economia.
La necessità della rappresentanza
Abbiamo bisogno di rappresentanti perché servono persone che impieghino il proprio tempo a studiare i problemi, sempre più complessi, nel modo più approfondito possibile. Per trovare soluzioni, prendere decisioni nell’interesse dei rappresentati, assumendosene la responsabilità. La democrazia parlamentare – quella che Casaleggio vuole superare – permette di dare voce a tutte le istanze della società e a tutte le diverse opinioni su come risolvere i problemi. Le democrazie più avanzate tutelano le minoranze: un’idea, una soluzione condivisa da una minoranza può essere migliore di una, opposta o complementare, sostenuta da una maggioranza.
Il modello che propone Casaleggio prevede che le decisioni siano prese da tutti, a maggioranza. Ma nessuno può capire, conoscere, analizzare i problemi al meglio. Sarà politicamente scorretto da dire, ma la maggior parte delle persone non ha gli strumenti culturali per capire i problemi, immaginare soluzioni, prendere decisioni. Spesso nemmeno per se stessi, figuriamoci per la collettività.
Come scrive il Prof. Carlo Alberto Carnevale Maffè su Il Foglio nel suo articolo “Rousseau e peggio di Cambridge Analytica“: “La lunghezza della domanda ha impatto sulla capacità di comprensione del quesito. Molte ricerche empiriche evidenziano che le domande con più di 16 parole hanno difficoltà a essere pienamente comprese. La forma grammaticale, la semplicità e la specificità del quesito hanno effetti sulla capacità di comprensione di chi è chiamato a votare. La stessa scelta delle modalità di risposta è potenzialmente distorsiva”.
Certo, la rappresentanza presenta numerosi difetti, non ultimo il fatto che selezionare buoni rappresentanti non è affatto semplice. Ma la semplice delega, in luogo della rappresentanza, è un sistema peggiore.
La democrazia diretta che immagina Casaleggio prevede che le decisioni siano prese da persone impreparate, e che nessuno si assuma mai la responsabilità di nulla e che le idee minoritarie siano a priori scartate. A chi giova? Ora lo vediamo.
La democrazia diretta è un pacco
Com’è noto, Casaleggio sostiene la causa della democrazia senza intermediazioni. Negli anni questo si è tradotto, nella pratica del Movimento 5 Stelle, con il tentativo di delegittimare tutte le rappresentanze, dai sindacati ai partiti, come pure i soggetti controllori, dal giornalismo fino, ultimo caso, al Garante della Privacy Antonello Soro.
La verità, nella pratica, è che la disintermediazione non esiste. È una balla o, come si dice oggi, una fake news.
Si parla di disintermediazione anche in campo commerciale: i grandi negozi online, per esempio, avrebbero disintermediato gli acquisti eliminando il passaggio intermedio del negozio fisico. In realtà, grosse realtà come Amazon non hanno eliminato l’intermediazione ma l’hanno accentrata sui propri sistemi digitali.
Esattamente come accade con la piattaforma Rousseau di Casaleggio. Il rapporto tra eletto ed elettore non è disintermediato: il mediatore unico è Rousseau che gestisce la selezione dei candidati, la comunicazione (tramite il Blog delle Stelle), la formazione politica, come di recente hanno iniziato a fare. Tutto è accentrato nelle mani di Casaleggio che, peraltro, si è autoproclamato intermediario unico senza la ratifica della comunità di Rousseau.
Non scelte, ma ratifiche
Il Prof. Paolo Gerbaudo, nel suo libro “Il Partito Digitale”, sottolinea come nella sostanziale totalità dei casi, non solo per quanto riguarda la piattaforma Rousseau, i voti non producono scelte. Servono a confermare decisioni prese dai dirigenti. Succede nel Movimento, ma pure in Podemos, ad esempio. Quella che Gerbaudo definisce la “superbase” conferma la decisione del “superleader”, che accresce e consolida il proprio potere tramite un processo che, contemporaneamente, lo deresponsabilizza. Il superleader è infallibile perché ha il compito di eseguire la volontà della base. Ma, si è dimostrato, la base approva sempre l’operato del superleader. Un circolo vizioso in cui gli strumenti digitali tendono a far emergere non già i dirigenti che sanno prendere le decisioni migliori ma quelli che sanno meglio sfruttare il processo.
Nel caso di Rousseau, il superleader è quello che meglio interpreta anche l’esigenza dell’intermediario unico, un imprenditore con interessi economici e commerciali anche nel settore della democrazia digitale.
Nel prossimo articolo affronteremo il secondo “paradosso”, quello che Casaleggio chiama “Luddista con lo smartphone”.
Vale la pena ricordare la storia della Associazione Rousseau. Casaleggio, con una lettera sul Corriere, apparecchia la sua visione di democrazia e col il suo Movimento 5 Stelle, dal governo, si propone di attuarla. Nei prossimi giorni commenterò punto per punto la sua riflessione.
Non ci sono state molte risposte meditate, organiche, ragionate. Pochi commenti all’articolo del proprietario del primo partito di governo che immagina di sbarazzarsi del parlamento e delle rappresentanze.
Forse non ve ne siete accorti, ma sta già succedendo. Il Movimento 5 Stelle ha preteso, nel programma del nuovo governo, che si approvi la riduzione dei parlamentari. Viene fatto senza uno studio sulle conseguenze rispetto ai processi democratici che coinvolgono il Parlamento. La prima picconata di Casaleggio verso la sua visione di democrazia senza rappresentanti, quindi senza responsabilità.
Ha senso, quindi ricordare come Casaleggio abbia implementato nella sua sfera d’influenza questa visione. Le motivazioni e le conseguenze le ho spiegate in questo articolo: i soldi che servirebbero al partito per portare avanti le proprie iniziative politiche sono di fatto “dirottati”. In parte verso l’Associazione Rousseau, ente commerciale privato di Casaleggio; indirettamente anche verso Casaleggio Associati, azienda privata di Casaleggio.
La storia, soprattutto la nascita, dell’Associazione Rousseau è altrettanto interessante e l’abbiamo raccontata più diffusamente ne “Il Sistema Casaleggio“.
Come nasce l’Associazione Rousseau
Alla morte di Gianroberto Casaleggio, nell’aprile 2016, il figlio Davide lancia la piattaforma Rousseau, lascito del padre, strumento che il Movimento userà per gestire i propri processi democratici interni. Allo stesso tempo, annuncia la nascita dell’omonima Associazione Rousseau. Stando alle prime dichiarazioni riportate sul Blog delle Stelle avrebbe dovuto essere un ente provvisorio, il tempo di creare un fondazione nel nome di Gianroberto Casaleggio. Non è mai accaduto, era una bugia.
Come per primo ha scoperto Luciano Capone, raccontandolo in un articolo su Il Foglio, i Casaleggio fondano l’Associazione l’8 aprile 2016, nella clinica in cui era ricoverato Gianroberto Casaleggio per un tumore al cervello in fase terminale. L’atto notarile che costituisce l’Associazione stabilisce pure che il presidente possa essere scelto solo tra i soci fondatori, che sono due. Uno dei quali sarebbe morto quattro giorni dopo.
Prima domanda: visto che tutte le attività relative al Movimento erano in capo a Casaleggio Associati, di cui Davide Casaleggio era socio e avrebbe acquisito le quote, perché costituire un’associazione mentre Gianroberto moriva?
Seconda seconda: qual era lo stato psicofisico di Gianroberto al momento della firma dell’atto, poche ore dopo essere stato colpito dall’ictus per cui era ricoverato?
Gianroberto contro Gianroberto
Domande che sorgono soprattutto alla luce di quanto era successo il giorno precedente, il 7 aprile 2016. Su La Stampa, Jacopo Iacoboni aveva pubblicato un articolo in cui raccontava che la gestione del Movimento sarebbe passata di padre in figlio, date le precarie condizioni di salute del primo, da tempo malato. La reazione è violenta e scomposta.
Gianroberto Casaleggio pubblica sul Blog di Grillo / Blog delle Stelle una secca smentita nella quale definisce Iacoboni uno “sciacallo”. È l’unica volta che Gianroberto parla di propria spontanea volontà di sui figlio Davide, e lo fa per smentire che voglia passargli la gestione del suo partito. Anche in questo caso non si capisce quali siano le reali condizioni di salute di Gianroberto: quando è stato colpito dall’ictus? È lui che verga quel testo?
Ma soprattutto: come mai l’8 aprile 2016 compie un atto che smentisce quando da lui stesso affermato solo 24 ore prima?
La politica senza soldi, quella che propagandavano Grillo e Casaleggio, è una truffa. Non esiste. Oggi vi spiego come Rousseau e Casaleggio “dirottano” i soldi del M5s, cioè quelli che dovrebbero andare al partito per le sue attività politiche.
In tutto il mondo libero, i partiti si finanziano con fondi pubblici e privati. Nel primo caso, a seconda della legislazione, lo Stato trasferisce denaro sotto forma di rimborsi o veri e propri sostegni economici vincolati alle attività dei partiti. Nel secondo, a volte la legge impone limiti ai finanziamenti privati o impone che siano tutti resi pubblici.
Il Sistema Casaleggio ha elaborato la gestione dei finanziamenti affinché i responsabili politici del partito non possano decidere come sono utilizzati, e il soggetto privato che li gestisce abbia non una ma ben due canali a propria disposizione, uno noto e uno più riservato.
Ma procediamo con ordine.
Il “dirottamento” verso la Rousseau di Casaleggio
Il Movimento da sempre rifiuta i finanziamenti pubblici. Il motivo vero l’abbiamo raccontato in Supernova: in occasione del secondo V-Day nel 2008, Gianroberto Casaleggio avrebbe voluto gestire in autonomia gli eventuali rimborsi referendari. Il comitato, costituito principalmente dagli attivisti romani, si oppose. Il referendum venne di fatto boicottato e i soldi non arrivarono mai. Ma da quel momento Casaleggio e Grillo decisero che gli attivisti non avrebbero mai dovuto avere a disposizione la gestione dei soldi.
Rinunciare ai finanziamenti pubblici ha permesso a Davide Casaleggio, alla morte del padre, di operare una sorta di “dirottamento” dei fondi che sarebbero andati al partito verso la propria associazione privata Rousseau.
Prima fase, Luca Lanzalone scrive il nuovo statuto del Movimento 5 Stelle. L’articolo uno indica proprio l’associazione Rousseau come unico fornitore per la comunicazione, l’organizzazione, la gestione dei processi democratici del partito. Gli eletti sono anche tenuti a versare una quota per finanziare Rousseau, 300 euro al mese.
La conseguenza di questo combinato disposto è che solo Casaleggio può disporre dei fondi legati all’attività politica. I parlamentari non possono finanziare altre associazioni o fondazioni. Un privato che volesse sostenere il partito deve versare soldi a Rousseau.
Ma non è finita qui. Il sistema di Rousseau e Casaleggio per deviare il corso del fiume di soldi prevede una terza via.
Il fiume di soldi riservato
Rousseau, per legge – la stessa “salva Casaleggio” – deve comunicare tutti i versamenti sopra i 500€. Questo comporta in primo luogo che solo Casaleggio conosca davvero tutte le persone che finanziano il partito.
Le normative sulla privacy vietano di condividere i nomi dei finanziatori sotto questa quota. Questo però vuol dire che se qualche grande azienda, pubblica o privata, volesse sostenere il Movimento non potrebbe farlo in via riservata. È un fatto positivo, naturalmente.
Ma c’è un terzo canale, più riservato, attraverso il quale un gruppo potrebbe fare attività di lobbying: sponsorizzare le attività di Casaleggio Associati, l’azienda di famiglia di Davide Casaleggio.
È successo? Sì, è successo.
Basta guardare le conferenze organizzate dall’azienda e i suoi sponsor. Poste Italiane è quella che salta certamente all’occhio, ma ci sono anche aziende con interessi nei settori bancario, trasporti, logistica, informatica, pagamenti, editoria, ricerca di lavoro.
Nell’ultimo anno, il primo col Movimento al governo, Casaleggio Associati ha raddoppiato il proprio fatturato e quasi decuplicato l’utile. Chi può dirci se queste aziende finanziano Casaleggio per le sue ricerche o per il suo ruolo politico?
Il sociologo De Masi era ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo lo scorso sabato 14 settembre 2019, dove ha rimediato una figura di sterco di rara intensità. Ne parliamo fra un attimo: prima giova ricordare la sua storia d’amore e di soldi con il Movimento di Casaleggio.
La love story M5s-sociologo De Masi
De Masi si autodefinisce “intellettuale di sinistra” ed è tra coloro che hanno attivamente contribuito alla piovra casaleggiana di mangiarsi le istituzioni.
Non bastano gli spettacoli gratuiti di Grillo, i proclami vagamente fascisti di Casaleggio (padre) o i soldi che riceve dagli sponsor pubblici Casaleggio figlio. Per conquistare stabilmente il potere di un Paese del G7 serve una rete di consenso istituzionale. Professori, giornalisti, storici e pure sociologi, se serve.
Nel caso del Movimento di Casaleggio, la maggior parte di questi hanno concesso il proprio favore in cambio di lauti compensi.
La prostituzione cerebrale del Prof. De Masi ci è costata 183.000 euro, questo il prezzo di due “studi” commissionati la scorsa legislatura dal gruppo parlamentare M5s. Dai risultati molto interessanti peraltro: nel 2025 lavoreremo gratis. A parte De Masi, ovvio, che da quei 3-4 mesi a 183.000 euro di soldi nostri per lui e i suoi collaboratori ci ha tirato fuori pure un libro che non è stato, ahimè, distribuito gratuitamente.
Nel 2016 è arrivato l’invito sul palco di SUM, la messa laica in cui si bacia la pantofola del padrone, Davide Casaleggio, nel nome del padre. Memorabile, prima di quell’evento, l’intervista di Casaleggio a Otto e Mezzo. A fare da feroce contraltare con domande ficcanti e un duro confronto delle idee chi c’era? Ma il sociologo De Masi ovviamente!
L’amplesso
Esilarante la performance del nostro a Otto e Mezzo lo scorso sabato.
Pur di difendere i suoi pupilli, ha fatto – diciamo così – confusione con le date di alcuni eventi, come l’incontro di Di Maio con l’esponente antisemita dei Gilet Gialli, pochi mesi fa, che il De Masi faceva risalire a quasi un anno prima.
Colto in fallo, ha dribblato le osservazioni di Jacopo Iacoboni e Annalisa Cuzzocrea con un repentino “e allora il PD?”.
Il meglio però l’ha dato quando ha raccontato delle sue accuratissime verifiche sulla piattaforma Rousseau.
Ora, seriamente: io non so se mentisse o sia stato raggirato dai casaleggesi, ma De Masi ha raccontato, rimanendo serio, di essere stato due giorni negli uffici di Rousseau con i tecnici. Si è fatto spiegare il funzionamento della piattaforma e, indovinate un po’? Ha concluso, dall’alto delle sue note competenze informatiche che il voto non si può manipolare. Se lo dice il sociologo De Masi, così gratuitamente imparziale, c’è da crederci.
Vano il tentativo da parte di Iacoboni e Cuzzocrea di spiegare che il problema non è (solo) la manipolazione del voto ma le centinaia e centinaia di altre possibili vulnerabilità del sistema, dell’incapacità manifesta di Casaleggio nella sua gestione, nelle implicazioni insite nel forzare la Costituzione con un sistema di voto privato.
Ma bisogna dire una cosa, che per fortuna ci racconta sempre il sociologo De Masi: pensate che i tecnici di Rousseau gli hanno confidato che i giornalisti mai hanno chiesto di poter vedere la piattaforma come ha fatto lui!
Ora noi possiamo, come ho fatto, riderci sopra. Ma questo sia da esempio dei metodi utilizzati dal Sistema Casaleggio per comprarsi consenso, magari da persone facili da raggirare con buzzword come “blockchain” e “database” non più molto svelte a comprendere di essere vittima di un raggiro.
Onestamente, non so se sarebbe stato meglio il voto. Non so, come non può saperlo nessuno, se i sondaggi che premiavano la Lega disegnavano davvero un esito elettorale ineluttabile. Ovviamente, non lo sapremo mai.
Siamo in un sistema elettorale proporzionale, il che significa che fare accordi con gli avversari politici è l’unico modo per mettere insieme una maggioranza di governo.
Siamo anche molto vicini a due scadenze, nel 2022: a febbraio si voterà il nuovo Capo dello Stato; a novembre il 60% dei parlamentari – quelli di prima nomina – maturano il diritto alla pensione. Un assegno di 1200 a partire dai 65 anni di età.
È del tutto evidente, quindi, che questo Parlamento cercherà in ogni modo di arrivare alla fine della legislatura.
Non come avevo pensato. Io immaginavo che la maggioranza Lega-M5s avrebbe retto, con magari l’innesto di Fratelli d’Italia. Avevo sottovalutato che il delirio di onnipotenza di Salvini unito al fatto che non regge molto bene l’alcol l’avrebbe portato a rompere con Di Maio.
Resta il fatto che, come avevo suggerito, almeno per questo giro ha prevalso lo spirito di sopravvivenza del parlamento.
Però.
C’è modo e modo di fare gli accordi
Il Movimento 5 Stelle nasce in un momento in cui l’avversario, il Potere era il PD. Il neonato PD. Dal giorno zero, l’obiettivo è stato il Partito Democratico. Era il partito al governo, era pure il concorrente del principale cliente di Gianroberto Casaleggio, L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.
Una delle argomentazioni di propaganda più efficaci era la seguente: Berlusconi aveva governato ed era sopravvissuto agli scandali grazie al PD. Il ritorno al governo nel 2008 la prova definitiva. Il discorso alla Camera di Luciano Violante, secondo il quale durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset era aumentato di 25 volte, la confessione.
Avanti veloce fino a 4-5 settimane fa: si sprecavano, da parte di molti attuali ministri e sottosegretari, giuramenti solenni: “mai un governo con il Movimento 5 Stelle”.
Il segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, ha vinto il congresso su questa piattaforma, lamentando quanto fosse avvilente doverlo ripetere. Lo ripeteva il 2 settembre all’incontro di AreaDem, la corrente di Franceschini. Che ora propone di costruire col M5s una “casa comune, coi sassi che ci siamo lanciati” negli ultimi anni.
Renzi, lo scorso anno aveva fatto saltare l’ipotesi di un governo col Movimento, oggi ne è l’artefice.
Si va verso una legge proporzionale pura (ne parleremo, ma il referendum che propone Salvini è perfettamente inutile: il parlamento legifererà non appena depositato il quesito, per annullare la consultazione). È inevitabile che il Movimento cercherà alleanze. Mi voglio rovinare: forse ha pure senso che il Partito Democratico cerchi strategicamente di scardinare le alleanze avversarie. Ma c’è modo e modo.
L’alternativa
Mi si chiede quale sarebbe stata l’alternativa. Meglio il voto? Non lo so: non decidono i leader di partito, ma il Parlamento e il Capo dello Stato se ci sono altre maggioranze o si deve tornare alle urne. Ma, ripeto, c’è modo e modo di costruire gli accordi.
Sarebbe stato meglio che tutti, da Renzi ai sottosegretari che spergiuravano che mai avrebbero governato con Casaleggio, avessero chiesto scusa, allegando spiegazioni un filo più credibili che fermare i barbari e l’aumento dell’IVA. Non perché i leghisti non siano pericolosi, ma perché si sta facendo un’alleanza con chi li ha resi tali: Casaleggio che li ha traghettati a Palazzo Chigi.
Anche perché i sondaggi premiavano il ministro alco-leghista ben prima del Papeete. Ben prima che Zingaretti diventasse segretario. O dicevano cazzate prima, o ne hanno fatta una ora.
Poi, visto che una simile richiesta è pervenuta dal M5s, si poteva pretendere che l’interlocutore non fosse Di Maio. Per una questione di principio: se cambio di stagione dev’essere, lo si fa cambiando dirigenti. Fatto così, è una resa incondizionata, non un accordo.
Infine, avrei preteso la rigorosa osservanza delle prassi Costituzionali e una totale chiarezza sul ruolo di Casaleggio. Se il Movimento doveva chiedere conferma dell’indirizzo politico ai propri aderenti, l’avrebbe dovuto chiedere prima di salire al Colle, per il rispetto che si deve al Quirinale e alla Costituzione.
Il Paese in mano a Casaleggio. Era meglio il voto?
In questo modo, invece, si è legittimato – anzi lo hanno proprio dichiarato i dirigenti che hanno condotto la trattativa – una struttura partitica personale, il cui proprietario ha il dichiarato scopo di superare il Parlamento.
Come si è legittimato definitivamente Berlusconi come interlocutore la scorsa legislatura, dopo aver fatto finta di avversarlo per vent’anni, così ora si è legittimato Casaleggio dopo aver fatto finta di avversarlo per dieci. A partire dallo stesso Renzi, che pochi mi mesi fa mi citava per denunciare la legge Salva Casaleggio del ministro Bonafede.
Tutto ciò non è accaduto: i dirigenti del Partito Democratico si sono arresi. Della vocazione maggioritaria di Veltroni non v’è più traccia e si cercando accordi locali. Il PD ha cambiato il proprio ruolo storico nell’arco di dieci giorni perché un ministro in ferie alzava troppo il gomito.
Io lo scrivo qui, perché resti agli atti: Casaleggio è più pericoloso di Salvini. Il suo metodo è più lento, ma l’allergia per la democrazia è perfino peggiore. Persegue interessi esclusivamente personali e commerciali, come Berlusconi. Il Movimento 5 Stelle è il ramo d’azienda politico del suo business; il “capo politico” è il suo amministratore delegato. È scritto negli statuti. Il partito è suo, la comunicazione è sua, i processi democratici sono suoi, le iscrizioni sono sue.
Come ho già detto, non so se sarebbe stato meglio il voto, ma so che accordarsi con il Movimento significa consegnare il Paese a Casaleggio. Che presto passerà all’incasso.
Facciamo un bel respiro e cerchiamo di mantenere la calma. Ce ne vuole molta, perché con l’appoggio al nuovo governo, il Partito Democratico legittima il Sistema Casaleggio e la sua compravendita dei seggi.
Allora, è il caso di ricordare per un attimo cosa sia, il Sistema Casaleggio. Avremo tempo e modo di parlare di nuovo della piattaforma Rousseau, ma credo che il salto di qualità, ora, riguardi le implicazioni istituzionali di questa scelta idiota di Renzi e dei suoi compagni di partito.
I democratici hanno trattato, nelle ultime settimane, un accordo di governo coi loro colleghi parlamentari del Movimento 5 Stelle. Chi sono questi parlamentari del Movimento?
Entrare in Parlamento
Soprattutto nell’ultima tornata, il Movimento ha eletto parlamentari con scarsa, quando non inesistente, storia di militanza. Per esempio, la parlamentare che nel libro “Il Sistema Casaleggio” ci ha raccontato come sia stata eletta per puro caso, perché a Capodanno 2018 aveva la febbre. Com’è possibile? Grazie al metodo di selezione inventato e gestito da Casaleggio.
Per assicurarsi un seggio, basta iscriversi alla piattaforma Rousseau e attendere un’elezione. Con una manciata di voti di altre persone iscritte, ci si può candidare. Una volta eletto, il Sistema Casaleggio chiede il versamento di 300 euro al mese all’Associazione Rousseau, ente commerciale di proprietà di Davide Casaleggio e tre suoi amici. Non molto, a fronte di uno stipendio assicurato per 5 anni di circa 120.000 euro all’anno, più benefit.
La compravendita dei seggi
Casaleggio tramite la sua piattaforma mette a disposizione di chiunque un numero variabile di seggi. Variabile, perché dipende da quanto Casaleggio è bravo a raccogliere consenso per il Movimento tramite il Blog delle Stelle.
Il partito, infatti, ha delegato con il nuovo statuto tutto a Rousseau. A Casaleggio.
Qual è l’obiettivo vero di Casaleggio? Perché impiega tante risorse, tanta energia nella gestione dell’Associazione Rousseau e del Movimento 5 Stelle. Come organizza il suo business della democrazia?
Sicuramente un motivo è che con la politica si fa business: Casaleggio Associati, nel primo anno col Movimento al governo, ha raddoppiato il fatturato. Da uno a due milioni di euro. L’utile è quasi decuplicato, da 20.000 euro a 181.000 euro.
Hanno funzionato le sinergie, quantomeno temporali, tra Luigi Di Maio e Casaleggio. Quando il primo annunciava il fondo sulla Blockchain, il secondo presentava uno studio sullo stesso tema ai suoi potenziali clienti, gli stessi che avrebbero chiesto accesso a quel fondo.
Ma c’è altro. È falso dire che l’Associazione Rousseau sia senza scopo di lucro: è un’associazione privata che non si fregia dello status di ONLUS e, soprattutto, è considerata un ente commerciale ai fini fiscali. Di fatto, i parlamentari del Movimento sono forzati a pagare i servizi di democrazia diretta che gli vende Casaleggio. Lo impone lo Statuto del Movimento, che si riferisce all’associazione M5s fondata nel 2017 da Di Maio e lo stesso Casaleggio.
La piattaforma Rousseau, racconta Casaleggio, è stata donata da Casaleggio Associati all’Associazione Rousseau, quasi con un generoso atto in memoria del defunto Gianroberto Casaleggio. La verità è ben diversa: a causa della gestione di Rousseau e del partito, Casaleggio Associati era in grave sofferenza finanziaria. Tre anni di conti in rosso stavano portando l’azienda quasi alla chiusura.
Lo spin-off: il business della democrazia
I costi per la gestione del Movimento erano in costante crescita, mentre nessuna entrata era possibile per motivi di opportunità: ovviamente non si poteva chiedere ai parlamentari di dare soldi all’azienda del capo del partito.
La creazione dell’Associazione, il repentino passaggio in questo contenitore di un allora dipendente di Casaleggio Associati, la coabitazione durata due anni negli stessi uffici dicono altro. Rousseau è uno spin-off di Casaleggio Associati. È un progetto molto costoso dell’azienda di famiglia che necessitava di adeguati finanziamenti. Davide Casaleggio, non avendo né la voglia né la possibilità di finanziarlo con gli utili, inesistenti, di Casaleggio Associati decide nel 2016 di elaborare un altro assetto.
Separare le attività legate alla politica mascherandole da progetto “pubblico” di “democrazia diretta” gli consente di raccogliere fondi direttamente dal partito da lui stesso fondato, diventandone di fatto la tesoreria. Giova sempre ricordare che lo Statuto del Movimento, che all’articolo 1 indica Rousseau come unico fornitore per i servizi di comunicazione e gestione degl’iscritti, è stato scritto da Luca Lanzalone, già arrestato per la vicenda dello Stadio della Roma.
Tutte le competenze acquisite, i dati raccolti e analizzati, il prodotto sviluppato – pagato con soldi di provenienza pubblica – rimangono nell’ente privato commerciale Rousseau. Che domani può decidere di venderlo ad altri clienti, in Europa e oltre.
Ci ha già provato, se ricordate, con i Gilet Gialli e agli altri potenziali alleati europei. Il suo “amministratore delegato”, Luigi Di Maio, aveva proposto l’utilizzo della Piattaforma Rousseau.
Di recente sul Blog delle Stelle si riporta un fantomatico indice di gradimento dei servizi di Rousseau. Il post si conclude così: “Siamo pionieri in un settore ancora inesplorato e puntiamo all’eccellenza. Vogliamo portare Rousseau e il nostro Paese a diventare un punto di riferimento per la democrazia partecipata nel mondo”.
Così dovrebbe venire raccontata questa storia: come un business della democrazia.
Di Maio si è presentato da solo alla conferenza stampa organizzata presso il suo ministero, dopo la pesante sconfitta del voto europeo dello scorso weekend.
Gli va riconosciuto il coraggio di assumersi interamente la responsabilità della sconfitta. Del resto così fa l’amministratore delegato di un’azienda quando i risultati non sono quelli sperati. La proprietà, però, sostituisce il capo azienda quando i risultati non sono più sostenibili, adeguati alle necessità del gruppo. È in quest’ottica che bisogna leggere le dimissioni che alcuni si aspettavano dal capo politico del M5s. Di Maio ha tenuto a precisare che ha sentito Grillo, Fico e Casaleggio e nessuno gli ha chiesto di fare un passo indietro. Dei tre l’unico che avrebbe potuto è l’ultimo, Davide Casaleggio, il dominus del Sistema che io e Nicola Biondo abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio.
Il padrone è l’Erede
Per analizzare questa fase del Movimento il primo errore da non commettere è quello di applicare logiche unicamente politiche. Le dinamiche del partito di Casaleggio e Di Maio sono diverse da quelle degli altri soggetti, così come sono diversi gli obiettivi e i ruoli di ciascun attore. Quello di Di Maio non è assimilabile a quello di Salvini o Zingaretti, segretari di partito che rispondono solo alla propria base e alle rispettive assemblee. Di Maio risponde a Casaleggio, il quale amministra il partito come presidente dell’Associazione Rousseau come ha fatto scrivere nello statuto scritto da Lanzalone. Anagrafiche degli iscritti, candidature, comunicazione, soldi: tutto passa da Milano. Il padrone è l’Erede.
Il Movimento è resiliente
Il secondo errore da non commettere è ignorare la resilienza che il Movimento ha saputo dimostrare nel corso di questi dieci anni. Hanno saputo adattare la propria struttura e il proprio passo alle mutevoli circostanze. Questa è una qualità che va riconosciuta, come l’abbiamo riconosciuta, al padrone del vapore Davide Casaleggio. Morto suo padre, ha preso in mano azienda, partito e relazioni e le ha rimodellate secondo le proprie necessità, riuscendo a costruirsi un ruolo inattaccabile e delegando a Di Maio il compito di compattare gli scappati di casa che compongono i gruppi parlamentari e portare il partito a vincere le politiche del 2018. Casaleggio amministra il partito tramite l’associazione Rousseau in totale autonomia, con obiettivi di lungo termine legati al proprio business e alla concezione contorta di democrazia che la sua mente ha prodotto sotto l’effetto degli stupefacenti risultati degli ultimi anni. Ricordiamo la tetra profezia secondo la quale i parlamenti diventeranno inutili, per come li conosciamo oggi.
Se il presidente del Sistema non ha rimosso il suo amministratore delegato è perché, nonostante questo deludente 17%, la presenza di Luigi Di Maio alla guida del ramo d’azienda politico del Sistema è ancora utile. Non nella stessa forma, forse, ma un’alternativa pronta non c’è.
Il Movimento, e in generale il Sistema Casaleggio, hanno già dimostrato di saper cambiare struttura e pelle per migliorare le proprie performance. Nel 2012, in previsione del voto, in gran segreto Grillo e Casaleggio aprirono un’associazione apposita, buttando alle ortiche non-associazione e non-statuto. Poi arrivò il direttorio, utile a spostare l’asse del potere da Milano a Roma. Poi venne sciolto il direttorio, esaurito il suo compito. Nel 2016 arrivò l’Associazione Rousseau, nel 2017 il nuovo statuto di Lanzalone e il nuovo capo politico.
Le posizioni si sono ammorbidite o irrigidite a secondo delle necessità e del contesto. Succederà la stessa cosa pure adesso, il Movimento non sparirà. Dopo l’assemblea dei gruppi si cominceranno a capire i contorni della nuova metamorfosi e, soprattutto, il coraggio e l’effettiva dimensione del gruppetto di avversari che Di Maio dovrà sfidare nel partito. Sarà interessante.
Per seguire questo processo bisogna tenere bene a mente alcuni fattori e alcuni nodi politici, alcuni dei quali verranno sciolti molto in fretta. Vediamo quali, partendo dal tema che ha riguardato questa tornata elettorale: il Parlamento Europeo.
Europa
Il fantomatico nuovo gruppo che Di Maio sognava di costituire al Parlamento Europeo non si farà. Solo uno dei potenziali alleati ha eletto candidati e ne servono almeno 25 da 7 paesi diversi. Il Movimento non può permettersi di non far parte di un gruppo: perderebbe finanziamenti, accesso ai ruoli, tempo di parola. Salvini ha già detto di avere avviato da tempo colloqui con Nigel Farage per portarlo nel proprio gruppo. La scelta per Di Maio è tra il gruppo di Salvini e Le Pen o l’irrilevanza e la perdita di una marea di risorse. Ci sarebbe anche il gruppo dei conservatori di cui fanno parte i Tory britannici (il partito di Theresa May per capirci). Anche questa ipotesi è però difficile perché a ottobre, se la Brexit avverrà, i parlamentari britannici non ci saranno più. In ogni caso, l’unico approdo possibile per il Movimento è a destra e, anche allo scopo di puntellare il governo, quello più logico sembra il gruppo di Salvini di cui farà parte pure Nigel Farage.
Tenuta del governo e della legislatura
Continuo a pensare che la legislatura finirà alla sua scadenza naturale, nel 2023. Lo penso ancora di più adesso, dopo il voto europeo.
Anzitutto, le camere le scioglie il capo dello Stato, non Salvini o Di Maio. Se cade il governo non finisce automaticamente la legislatura. Prima, il Presidente della Repubblica deve verificare che non esista un’altra maggioranza in Parlamento. Un Parlamento composto per il 60% da persone che aspettano il settembre 2022, quando matureranno il diritto al trattamento pensionistico. Voi rinuncereste a 1500 euro al mese a partire dai 65 anni?
È chiaro che adesso Salvini abbia un deterrente in più nei confronti del Movimento: un eventuale voto anticipato favorirebbe lui, senza contare che Di Maio e i suoi – tutti parlamentari alla seconda legislatura – non si possono ricandidare come ha ricordato settimana scorsa Casaleggio. Ciononostante, non so quanto a Salvini convenga rischiare che si formino maggioranze diverse. In questa situazione, può facilmente esercitare un controllo maggiore sull’azione di governo, imporre la propria agenda, i propri temi e costruire il campo per le prossime scadenze politiche, a cominciare dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica nel febbraio del 2022. In ogni caso, quando Matteo Salvini vorrà mettere in crisi il governo dovrà pronunciare una sola parola: “Casaleggio”. Quello sarà il segnale.
Le defezioni che possono mettere a rischio la maggioranza, in queste condizioni, possono arrivare verosimilmente dal gruppo di senatori di seconda nomina del Movimento 5 Stelle. Sono quelli che hanno meno da perdere (non sarebbero comunque ricandidati) e più da guadagnare (niente restituzioni, visibilità in prospettiva magari di un cambio di casacca). Occhi puntati lì, quindi. Ma niente paura: prima di mettere in crisi la legislatura c’è pronta la pattuglia di Fratelli d’Italia. Soprattutto se si dovesse saldare il rapporto con la Lega in europa, per Salvini non sarebbe difficile convincere Di Maio e Casaleggio ad accogliere i nuovi alleati. Questo punto lo approfondiamo fra un attimo.
Non credo sia verosimile – per ora – un’ipotesi alfaniana, cioè Di Maio e i suoi che formano un gruppo autonomo per non far cadere il governo, uscendo dal Movimento. Anche perché non ci sarebbero i numeri in Senato: ai senatori di prima nomina Casaleggio può garantire la ricandidatura, uscire dal Movimento sarebbe un salto nel buio. Mai dire mai, comunque.
La diretta conseguenza di tutto ciò è che d’ora in poi, pur di mantenere lo status quo, Di Maio e i suoi cederanno su qualsiasi cosa. Hanno già salvato il ministro dell’Interno da un processo, ceduto sul Tap, il terzo valico, il Muos, gli F35. Cederanno anche sul Tav. Prima di tornare a vendere lattine a San Paolo – professione peraltro rispettabilissima – Di Maio si venderà pure le mutande.
Nemmeno i cosiddetti dissidenti credo vogliano la testa di Di Maio: sono preoccupati per la loro. Tutti hanno l’interesse a far durare la legislatura e per farlo serve che tutti gli incarichi, dai ministeri alla segreteria politica, siano svolti bene.
Il Movimento da domani
L’assemblea dei gruppi prevista mercoledì 29 maggio aprirà la guerra civile. Io avevo previsto che sarebbe accaduto con un risultato sotto il 21%, e il 17% lo è di molto. Vedremo quanto è forte la fronda, o le fronde. Sembrano esserci vari livelli di contrasto alla leadership: dai più agguerriti ai più comprensivi (come il senatore Paragone) tutti hanno messo nel mirino il capo politico. Ma chi veramente vuole cambiare le cose facendo chiarezza dovrebbe partire dalla testa, da cui di solito il pesce puzza: il ruolo di Davide Casaleggio e dell’associazione Rousseau. Se nessuno lo farà saremo di fronte a una banale spartizione di potere.
È comunque abbastanza evidente che Di Maio non può continuare a gestire da solo il partito, i due ministeri e il comitato delle rendicontazioni. Un organo, quest’ultimo, non previsto da nessuno statuto che raccoglie tutte le restituzioni dai parlamentari prima che queste siano destinate ai fondi scelti di volta in volta (spesso, in realtà, ai comitati elettorali). Vedremo quale sarà la soluzione che verrà elaborata, ma l’unico fatto certo è che lo Statuto prevede che la carica di capo politico duri cinque anni. L’unico che può decidere di cambiare davvero è Casaleggio, che però prima dovrebbe costruire un’alternativa. È per questo che lui e Di Maio hanno tolto dalle mani dell’assemblea la decisione, chiedendo il voto su Rousseau, piattaforma – come certifica il Garante della Privacy – non trasparente, insicura, manipolabile. La sua investitura arriva da Casaleggio-Rousseau ed è lì che cerca la conferma, con il solito quesito per gli attivisti che già suggerisce l’ovvia risposta (“Vuoi confermare Luigi Di Maio come capo politico?”). Oggi è arrivata poi la Cassazione: Beppe Grillo ha detto che Luigi va bene, i gonzi sanno cosa rispondere.
Di Maio, inoltre, da capo politico può governare la riorganizzazione del partito da un punto di forza, potendo prevedere ruoli e percorsi per sé e i suoi dopo l’esperienza di governo, quando non potranno più ricandidarsi.
In quest’ottica, va ricordato un fatto: il Movimento non è un’entità indipendente. Fa parte di un sistema di potere, come ogni partito. Ha una sua constituency e ha il suo proprietario di fatto con interessi propri. Questo sistema, come già visto, ha dimostrato di saper cambiare velocemente pelle, struttura, rappresentanti e sponsor. Lo saprà fare anche adesso. Non sono finiti. L’equilibrio da trovare sarà tra il futuro dei nuovi volti del Movimento che aspettano il proprio turno, gli interessi di Casaleggio e quelli del gruppo dirigente attuale che ancora deve capire cosa farà dopo questa esperienza di governo.
In termini generali, Casaleggio può tranquillamente pianificare la prossima legislatura all’opposizione, far maturare nuovi dirigenti e tornare in area di governo successivamente.
Il sistema proporzionale vigente, però, lascia spazio a parecchie sfumature. Questo governo è un’anomalia: dal dopoguerra non era mai successo che una maggioranza fosse composta da due soli soggetti. Non potrà reggere a lungo, questa situazione. Se veramente il Movimento aderirà al gruppo di Salvini in europa, l’area di governo attuale sarà quella definitiva per Casaleggio e compagnia. Quella, peraltro, in cui si trovano meglio per cultura (si fa per dire) personale. Consolidare i rapporti adesso significa porre le basi per una stabile area politica per le legislature a venire. Le regole del Movimento vietano le ricandidature, ma gl’incarichi governativi non sono elettivi. Di Maio farà di tutto per normalizzare i rapporti con la Lega senza darlo troppo a vedere. Dovrà lasciarlo accadere, facendo intendere la possibilità di carriere per tutti. Questo sarebbe il punto di caduta che potrebbe accontentare tutti e che permetterebbe di liberare il movimento dagli ultimi scocciatori che lo vorrebbero forza battagliera di opposizione.
Alessandro Di Battista
Due righe su Di Battista: l’ex deputato ha il coraggio di un leone morto e le capacità politiche come quelle tecnologiche di Casaleggio. È un agitatore buono per l’opposizione. Se torna lui, saprete che da Milano hanno scelto la ritirata.
Guida pratica per l’opposizione
Infine, l’opposizione. Come si combatte un sistema simile? Dalla testa. Trattare con Di Maio, parlare di Di Maio, pensare a Di Maio è precisamente ciò che permette al sistema di reggere.
Il segretario di un partito parte con un handicap: è sostituibile, a differenza di Casaleggio. Il Movimento può permettersi di sbagliare perché i vertici politici sono sostituibili, i parlamentari devono la loro carriera passata e futura a Casaleggio. Basterebbe costringere il Movimento a interrogarsi sul ruolo di Casaleggio per demolire il castello di carte che questo si è costruito intorno. Basterebbe chiedere alle autorità preposte d’indagare gl’interessi di Milano, le influenza esercitata da Davide, le promesse, le garanzie, i clienti. Il Movimento è il tassello di un sistema di potere: o lo conosci e lo combatti o sei parte di esso, non ci sono alternative.
Il sindacato dei “rider”, i fattorini che consegnano cibo a domicilio tramite servizi come Deliveroo, UberEats, JustEat, cerca da mesi di ottenere dal governo soluzioni al problema dei propri rappresentati. In breve, si chiedono nuove regole per l’inquadramento lavorativo.
Non entro nel merito della questione, ma voglio segnalare un errore di metodo: cari rider, sbagliate interlocutore.
Non cercate Di Maio ma Davide Casaleggio, il presidente dell’Associazione Rousseau che raccoglie milioni di euro dai parlamentari del Movimenti per gestire le anagrafiche, gli strumenti di comunicazione, le liste di candidati del partito attraverso l’omonima piattaforma. Casaleggio, ci raccontano le recenti cronache, è il fondatore del nuovo Movimento governativo e ne è di fatto amministratore unico secondo l’articolo 1 dello Statuto del partito attraverso la sua associazione privata Rousseau di cui è presidente e tesoriere. Non c’è peraltro modo di sostituirlo in questo ruolo: non risponde al partito, risponde solo a sé stesso. Di Maio passa, Casaleggio resta.
Ma non è per questo che dovreste parlare con l’Erede. Mentre voi cercate il tavolo con il governo nella persona del ministro Di Maio, con scarsi risultati, una delle aziende principali che rappresentano la vostra controparte parla – eccome – con l’amministratore unico del partito del ministro. Deliveroo è infatti sponsor dell’azienda di Casaleggio per il suo studio sull’economia digitale.
Non è Di Maio che comanda, ne Movimento. La domanda è: Di Maio è libero nelle decisioni che prende su questo argomento? Si pone il problema del suo collega fondatore che ha rapporti commerciali con una delle aziende che deve regolamentare? Si consulta con Casaleggio? E se lo facesse, i consigli che riceve che interessi servono?
Sono queste le domande che dovreste porre e dovreste chiedere di porre a Di Maio e Casaleggio.