Nuovi episodi stressano la tenuta del governo Conte II: l’inchiesta sulle donazioni a Rousseau, Renzi sotto indagine, l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti.
Cosa si è sbagliato nell’analisi delle destre dopo la caduta del Muro di Berlino? Una carrellata da Berlusconi a Farage passando per Casaleggio e Podemos.
I vostri vocali con le risposte su Conte e il ministro Pisano.
Ci sono alcuni segnali che preannunciano cambi nella maggioranza. Forza Italia manda segnali di disponibilità. La legislatura reggerà, nessuno si assumerà al responsabilità di andare al voto in piena pandemia, ma il governo Conte soffre per l’incapacità di governare la crisi e per lo scontro interno al Movimento Cinque Stelle.
Un audio di Alessandro Di Battista rende bene quale sia lo scontro: si tratta della regola dei due mandati. L’ex deputato e Casaleggio, su questo, stanno conducendo due campagne coordinate, e l’Erede ricorda che Vito Crimi resterà capo politico solo fino al 31 dicembre 2020.
Ne parliamo anche con Jonathan Targetti, con cui ho chiacchierato anche di +Europa, Renzi, Calenda.
Infine, un mio commento sulla gestione in occidente della pandemia: inserire il tempo, risorsa scarsa e preziosa, nell’equazione può aiutare a capire quali provvedimenti siano i più saggi ed efficaci.
C’è un bell’articolo di Nicola Pedrazzi sul Mulino. L’analisi storica sulla genesi e il successo del Movimento 5 Stelle sono assolutamente condivisibili e vi consiglio di leggerle con attenzione. C’è tanto, in quelle righe, anche su di noi.
Nicola rilancia il pezzo su Twitter con questo commento:
Io non condivido la tesi. Forse poteva essere vero qualche anno fa: il Movimento non era organico al centrosinistra, come non lo era al centro destra pur condividendone sostanzialmente tutte le peggiori piattaforme. Ciò che davvero voleva e vuole ottenere il Clan Casaleggio non è rovesciare il sistema ma sedersene a capotavola. Ora, tale obiettivo può essere ottenuto in svariati modi, con la destra, con la sinistra, con una legge maggioritaria, eccetera.
Ma io credo che un errore molto grave sia sopravvalutare la nobiltà delle intenzioni del centrosinistra italiano. Soprattutto il Partito Democratico, temo si senta investito di una missione sacra per conto di Dio per la quale ogni compromesso diventa digeribile pur di restare al potere. Lo dice la storia. Il PD – nelle sue successive reincarnazioni – è quel partito che ha spiegato di dover governare con Mastella per evitare Berlusconi. Poi con Berlusconi per evitare Grillo e Casaleggio. Adesso con Grillo e Casaleggio per evitare Salvini. Non credo ci siano limiti scolpiti nella pietra.
Per questo, dal mio punto di vista, la questione va ribaltata: accettare una personalità mediocre come Conte, accettare il macroscopico conflitto d’interessi di Casaleggio, significa che culturalmente Grillo e Casaleggio hanno vinto. Non Di Maio.
Io penso che il Movimento 5 Stelle, oramai, non sia “estraneo” al centrosinistra, ma che il centrosinistra sia ormai organico – per scelta consapevole – ai Cinquestelle fintanto che la somma dei parlamentari di ciascuno permetterà loro di restare coi piedi ben piantati nei ministeri. Non è vero, come dice Bersani, che il M5S sia un “personaggio in cerca d’autore”: l’autore ce l’hanno, si chiama Davide Casaleggio. È il centrosinistra che si è adattato a cambiare spartito a seconda delle circostanze. La domanda è: il PD è disposto a sacrificare il governo Conte (con l’elezione del capo dello stato fra due anni) se il mese prossimo Di Battista dovesse vincere (qualsiasi cosa voglia dire da quelle parti) il congresso?
Io credo che da qui non se ne possa uscire, finché non ci sarà qualche sostanziale novità nell’offerta politica del Paese.
Ho partecipato alla trasmissione Porno Politika di Enrico Pazzi. Abbiamo parlato di quello che sta succedendo nel Movimento 5 Stelle, del rapporto con il Partito Democratico e di quali sono i probabili scenari futuri.
Settimana scorsa, il 10 ottobre 2019, c’è stato un voto molto importante al Parlamento Europeo. Una una risoluzione sulle interferenze russe in europa che inizialmente prevedeva una commissione d’inchiesta su cui Lega e M5s hanno votato insieme. Ora vi ricordo il perché.
Intanto, la risoluzione è una condanna molto circostanziata nei confronti di quei partiti che hanno flirtato con i Russi durante le ultime campagne referendarie o elettorali. Si parla del Front National della Le Pen, della Lega di Salvini e del comitato Leave.EU che ha promosso la Brexit.
C’era un passaggio che prevedeva l’istituzione di una specifica commissione parlamentare d’inchiesta che, però, è stato rimosso grazie a un emendamento dei Conservatori. L’emendamento è stato votato da Lega e M5s che sono stati determinanti per farlo passare.
I motivi per cui il Movimento ha votato con la Lega sono almeno due.
Il primo è abbastanza chiaro: il Movimento, lo ha detto pure Di Maio all’ultimo Italia 5 Stelle, è disposto ad allearsi di nuovo con chiunque nei prossimi dieci anni pur di restare al governo. Anche con la Lega, che quindi non va irritata.
I russi e il Movimento
Però c’è un altro fatto che riguarda Casaleggio. O meglio una serie di fatti. Perché la commissione d’inchiesta sarebbe stata per lui pericolosa se si fosse spinta fino a indagare le sue relazioni con Steve Bannon o con i siti di propaganda russi da cui ha pescato a piene mani tra il 2014 e il 2017.
Bannon l’ha incontrato a Roma nel giugno del 2018. In quei giorni nasceva il primo governo Conte con la Lega, benedetto proprio dall’ex consigliere di Donald Trump. Di cos’hanno parlato, se di politica, business o entrambe le cose non è dato sapere.
Ma quell’incontro avviene dopo anni di frequentazioni, digitali e fisiche, del mondo di Casaleggio e del Movimento col partito di Putin. Di Battista e Di Stefano che presenziano al congresso di Russia Unita. Di Battista che propone al Movimento di farsi aiutare dall’ambasciatore russo per la campagna referendaria. Episodi che abbiamo raccontato in Supernova, documentati e mai smentiti.
Oppure il fatto che, dal 2014, Grillo e il Blog (gestito da Casaleggio) fanno un’inversione di 180° e cominciano a diffondere notizie provenienti da RT e Sputnik, due siti di propaganda russa in lingua italiana (e altre). Perché? Gratis o a pagamento? E l’avvicinamento politico segue o precede quello commerciale?
Tutte cose che una commissione avrebbe forse potuto spiegare, ma è meglio che nessuno sappia. Per ora.
Sabato è partita la Fase tre del movimento di Casaleggio. La prima può essere identificata con i V-Day e le prime liste civiche; la seconda con lo sbarco in Parlamento e il governo con Salvini. La terza è stata formalizzata sabato e domenica scorsi.
Ogni passaggio di fase si può identificare con un fatto molto preciso e circostanziato: i vertici, Grillo e Casaleggio (prima Gianroberto e ora Davide), si liberano di zavorre che sono inutili per proseguire il percorso.
È una tecnica ben rodata ideata da Gianroberto Casaleggio ai tempi del Blog di Beppe Grillo: all’epoca, ogni tanto scriveva un post molto divisivo. Poteva essere sbilanciato a destra o a sinistra e serviva per allontanare chi non era intenzionato e seguire ciecamente la strada tracciata. Un giorno pubblicò un post razzista, che parlava dell’invasione dei “Rom della Romania” – peraltro la locuzione è specificatamente di Davide: mi disse che serviva per “liberarci di un po’ di questi sinistrorsi che infestano i commenti”.
Linguaggio familiare vero? L’invasione ricorda Salvini, no? E il termine “infestare” lo usa Trump con riferimento alle persone di colore.
Dalla fase uno alla fase due
Il primo passaggio di fase, lo abbiamo raccontato in Supernova, avvenne tra il 2012 e il 2013. Partito di Casaleggio si preparava per lo sbarco in Parlamento e serviva fare pulizia. Approfittando della vicenda di Giovanni Favia, che in uno sfogo registrato fuori onda denunciava quello che oggi conosciamo come il Sistema Casaleggio, Grillo fece un video ridicolo, contraddittorio e feroce: “fuori dalle palle chi pensa che io non sia democratico”. Alcuni se ne andarono prima del voto, altri furono espulsi dai gruppi parlamentari con una epurazione di massa mai vista prima nel primo anno di legislatura.
Dopo il voto europeo del 2014 i tempi erano maturi e il famoso “Direttorio” prese il controllo del partito, sottraendolo a Gianroberto, malato e fragile, con l’aiuto del figlio Davide che manovrava nell’ombra, costruendosi un ruolo e un’organizzazione con l’eredità.
Il primo cambio di fase è coinciso anche con la creazione di un’associazione Movimento 5 Stelle parallela rispetto alla prima (la vecchia “non-associazione”) da parte di Grillo, il suo commercialista e il suo avvocato-nipote.
Dal Direttorio, Luigi Di Maio prende di fatto il controllo del partito e alla fine del 2017 inizia il secondo passaggio di fase, che Di Maio e Casaleggio hanno formalizzato nel weekend passando alla fase tre del Movimento.
La fase tre
Anche in questo caso c’è una nuova struttura, un’altra associazione “Movimento 5 Stelle” fondata stavolta da Di Maio e Casaleggio, che affianca l’Associazione Rousseau. Lo statuto, scritto da Luca Lanzalone, mette all’articolo uno la creatura di Davide come unico fornitore possibile per la comunicazione.
Sabato è arrivata pure l’inizio dell’epurazione, in modalità che ricordano un po’ le minacce corleonesi: “mando il mio saluto ad Alessandro [Di Battista]. Gli ex ministri assenti sbagliano a non venire”, ha detto il padrone della baracca, Davide. Un messaggio chiaro: adesso siamo noi lo Stato. E si fa come dico io, chi non è d’accordo fuori dalle palle (cit).
Domenica Di Maio ha chiarito meglio gli obiettivi: stare al governo sempre, in ogni caso. Il che ha perfettamente senso: è il modo migliore per Casaleggio per ottenere vantaggi, come l’invito all’ONU per pubblicizzare le sue attività di poche settimane fa.
La Fase Tre, come dicevo, è iniziata: è quella in cui il Sistema Casaleggio governa, gli altri fanno da gregari e Casaleggio nomina i suoi ai vertici dello Stato. Di Maio, vedrete, resterà sulla scena: è con lui che Casaleggio ha l’accordo che gli permette di drenare soldi dai parlamentari lasciando a secco il partito.
Ciclicamente capita che ci siano mugugni nei gruppi parlamentari e che i giornalisti subito parlino di scissione imminente, dissidenti, scontri fratricidi. Io credo che si possa e si debba guardare ai fatti con le giuste proporzioni, ricordando sempre la stella polare: nessuno farà nulla che possa mettere a rischio la legislatura. A settembre 2022 i parlamentari di prima nomina, numerosissimi in parlamento (60%) e soprattutto nel Movimento, matureranno il diritto alla pensione. Come avevo previsto, la crisi di governo non ha portato a elezioni, ma si sono formate nuove maggioranze: dovesse fallire anche il Conte 2, si troveranno nuove geometrie.
Vero è che nel Partito Democratico ci sono state maggiori conseguenze: Renzi e i suoi hanno creato nuovi gruppi, autonomi rispetto al PD. Capisco che ci sia la tentazione di applicare le stesse logiche anche al Movimento, ma la geografia politica e le dinamiche del partito di Casaleggio sono completamente diverse.
L’organizzazione di Rousseau
Anzitutto bisogna sottolineare un fatto: il know how organizzativo, i dati, la memoria storica, la capacità di gestire il fiume di soldi che deriva dall’essere in parlamento risiede nell’Associazione Rousseau. Non c’è nessuno, nel Movimento, che abbia le capacità necessarie a formare un proprio partito. Se mai ci sarà una scissione, chi si allontana è destinato all’oblio. Anche soltanto per contattare i sostenitori, tutti devono passare da Casaleggio. Al contrario, Renzi da sempre coltiva la propria base indipendentemente dagli organi di partito, cominciando dalla sua newsletter. Da oltre 10 anni, l’ex primo ministro invia ogni settimana una mail ai propri sostenitori. In dieci anni ha raccolto chissà quante decine di migliaia di contatti di cui dispone direttamente, personalmente.
Nel Movimento, questo lavoro l’ha svolto Casaleggio Associati prima e Rousseau poi. Formalmente i dati sono dell’Associazione Movimento 5 Stelle, ma nessuno ha le capacità tecniche di gestire la macchina indipendentemente dal personale di Casaleggio.
Parlamentari, Consiglieri e fan
Bisogna poi distinguere i diversi gruppi all’interno del Movimento. Non in base alla fedeltà verso Di Maio, Casaleggio, Grillo ma secondo il trascorso politico e le prospettive. Ci sono i parlamentari di seconda nomina, quelli eletti per la prima volta nel 2013. La maggior parte di loro è sottosegretario, ministro, viceministro, presidente di commissione, capogruppo. Oppure lo è stato nel governo con la Lega. Insomma, più o meno tutti sono stati premiati con un incarico. Alcuni hanno scelto di non ricandidarsi, come Alessandro Di Battista, facendo probabilmente un calcolo sbagliato, visto che l’ultima cosa che si aspettava era un governo col Partito Democratico. Questi parlamentari non potranno essere rieletti nel caso la legislatura duri fino alla fine, ma non hanno neanche la garanzia che possa valere per tutti la deroga su cui Di Maio può contare alla regola dei due mandati (quella che vieta più di due mandati parlamentari).
Ci sono i parlamentari di prima nomina, eletti nel 2018. Rispetto ai loro compagni politicamente più anziani, hanno avuto il vantaggio di essere guidati dentro il palazzo. Sanno che al prossimo giro potranno anche loro accedere alle cariche più prestigiose nelle commissioni o, chissà, di nuovo al governo se dovessero farne parte anche alla prossima legislatura. A questo gruppo di persone non spaventa il voto. Tra questi, peraltro, c’è una piccola pattuglia di persone selezionate direttamente da Luigi Di Maio per fare da pontieri verso gli altri soggetti politici. Il Senatore Paragone verso la Lega, e sarebbe dovuto diventare presidente della commissione d’inchiesta sulle banche, ora saltata. Spadafora, verso il Partito Democratico, adesso ministro. Emilio Carelli, ex uomo-Mediaset verso la destra più moderata.
Un altro gruppo è quello dei consiglieri comunali e regionali: sono i beneficiari del famoso “mandato zero”. Potranno candidarsi al parlamento anche se hanno fatto due mandati nelle istituzioni locali. Inoltre, c’è una batteria di fan, per lo più assistenti parlamentari e dei consiglieri regionali, che aspettano la prima occasione utile per diventare loro stessi onorevoli o consiglieri.
Chi sono i senatori che ce l’hanno con Di Maio
Non sappiamo (ancora) chi abbia sottoscritto il documento di cui si parla e il cui contenuto è peraltro ignoto, ma secondo me la maggior parte dei parlamentari fanno parte del primo gruppo. Il motivo è abbastanza semplice da intuire. Più avanza la legislatura più è chiaro chi avrà un futuro politico: Di Maio e il suo strettissimo giro di tirapiedi. In qualche modo ci sarà la possibilità per un gruppo di persone di continuare l’attività politica. Le opzioni sono tante, ma se guardiamo quanto accade a livello locale, la svolta più probabile è che si costituiscano liste “civiche” per non “disperdere l’esperienza maturata” nei dieci anni di Parlamento, costituita da Di Maio, aperta solo ai suoi stretti collaboratori, con la benedizione di Casaleggio (che magari potrebbe sperimentare il subaffitto di Rousseau a un’altra realtà oltre al Movimento).
Chi sente di poter essere fuori, teme per il proprio futuro. Michele Giarrusso, per esempio, non sembra tipo che il “moderato” Di Maio possa portarsi dietro, così come Gianluigi Paragone, che peraltro, in base al codice di comportamento, dovrebbe subire l’allontanamento dal Movimento, non avendo votato la fiducia.
Di Maio si è presentato da solo alla conferenza stampa organizzata presso il suo ministero, dopo la pesante sconfitta del voto europeo dello scorso weekend.
Gli va riconosciuto il coraggio di assumersi interamente la responsabilità della sconfitta. Del resto così fa l’amministratore delegato di un’azienda quando i risultati non sono quelli sperati. La proprietà, però, sostituisce il capo azienda quando i risultati non sono più sostenibili, adeguati alle necessità del gruppo. È in quest’ottica che bisogna leggere le dimissioni che alcuni si aspettavano dal capo politico del M5s. Di Maio ha tenuto a precisare che ha sentito Grillo, Fico e Casaleggio e nessuno gli ha chiesto di fare un passo indietro. Dei tre l’unico che avrebbe potuto è l’ultimo, Davide Casaleggio, il dominus del Sistema che io e Nicola Biondo abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio.
Il padrone è l’Erede
Per analizzare questa fase del Movimento il primo errore da non commettere è quello di applicare logiche unicamente politiche. Le dinamiche del partito di Casaleggio e Di Maio sono diverse da quelle degli altri soggetti, così come sono diversi gli obiettivi e i ruoli di ciascun attore. Quello di Di Maio non è assimilabile a quello di Salvini o Zingaretti, segretari di partito che rispondono solo alla propria base e alle rispettive assemblee. Di Maio risponde a Casaleggio, il quale amministra il partito come presidente dell’Associazione Rousseau come ha fatto scrivere nello statuto scritto da Lanzalone. Anagrafiche degli iscritti, candidature, comunicazione, soldi: tutto passa da Milano. Il padrone è l’Erede.
Il Movimento è resiliente
Il secondo errore da non commettere è ignorare la resilienza che il Movimento ha saputo dimostrare nel corso di questi dieci anni. Hanno saputo adattare la propria struttura e il proprio passo alle mutevoli circostanze. Questa è una qualità che va riconosciuta, come l’abbiamo riconosciuta, al padrone del vapore Davide Casaleggio. Morto suo padre, ha preso in mano azienda, partito e relazioni e le ha rimodellate secondo le proprie necessità, riuscendo a costruirsi un ruolo inattaccabile e delegando a Di Maio il compito di compattare gli scappati di casa che compongono i gruppi parlamentari e portare il partito a vincere le politiche del 2018. Casaleggio amministra il partito tramite l’associazione Rousseau in totale autonomia, con obiettivi di lungo termine legati al proprio business e alla concezione contorta di democrazia che la sua mente ha prodotto sotto l’effetto degli stupefacenti risultati degli ultimi anni. Ricordiamo la tetra profezia secondo la quale i parlamenti diventeranno inutili, per come li conosciamo oggi.
Se il presidente del Sistema non ha rimosso il suo amministratore delegato è perché, nonostante questo deludente 17%, la presenza di Luigi Di Maio alla guida del ramo d’azienda politico del Sistema è ancora utile. Non nella stessa forma, forse, ma un’alternativa pronta non c’è.
Il Movimento, e in generale il Sistema Casaleggio, hanno già dimostrato di saper cambiare struttura e pelle per migliorare le proprie performance. Nel 2012, in previsione del voto, in gran segreto Grillo e Casaleggio aprirono un’associazione apposita, buttando alle ortiche non-associazione e non-statuto. Poi arrivò il direttorio, utile a spostare l’asse del potere da Milano a Roma. Poi venne sciolto il direttorio, esaurito il suo compito. Nel 2016 arrivò l’Associazione Rousseau, nel 2017 il nuovo statuto di Lanzalone e il nuovo capo politico.
Le posizioni si sono ammorbidite o irrigidite a secondo delle necessità e del contesto. Succederà la stessa cosa pure adesso, il Movimento non sparirà. Dopo l’assemblea dei gruppi si cominceranno a capire i contorni della nuova metamorfosi e, soprattutto, il coraggio e l’effettiva dimensione del gruppetto di avversari che Di Maio dovrà sfidare nel partito. Sarà interessante.
Per seguire questo processo bisogna tenere bene a mente alcuni fattori e alcuni nodi politici, alcuni dei quali verranno sciolti molto in fretta. Vediamo quali, partendo dal tema che ha riguardato questa tornata elettorale: il Parlamento Europeo.
Europa
Il fantomatico nuovo gruppo che Di Maio sognava di costituire al Parlamento Europeo non si farà. Solo uno dei potenziali alleati ha eletto candidati e ne servono almeno 25 da 7 paesi diversi. Il Movimento non può permettersi di non far parte di un gruppo: perderebbe finanziamenti, accesso ai ruoli, tempo di parola. Salvini ha già detto di avere avviato da tempo colloqui con Nigel Farage per portarlo nel proprio gruppo. La scelta per Di Maio è tra il gruppo di Salvini e Le Pen o l’irrilevanza e la perdita di una marea di risorse. Ci sarebbe anche il gruppo dei conservatori di cui fanno parte i Tory britannici (il partito di Theresa May per capirci). Anche questa ipotesi è però difficile perché a ottobre, se la Brexit avverrà, i parlamentari britannici non ci saranno più. In ogni caso, l’unico approdo possibile per il Movimento è a destra e, anche allo scopo di puntellare il governo, quello più logico sembra il gruppo di Salvini di cui farà parte pure Nigel Farage.
Tenuta del governo e della legislatura
Continuo a pensare che la legislatura finirà alla sua scadenza naturale, nel 2023. Lo penso ancora di più adesso, dopo il voto europeo.
Anzitutto, le camere le scioglie il capo dello Stato, non Salvini o Di Maio. Se cade il governo non finisce automaticamente la legislatura. Prima, il Presidente della Repubblica deve verificare che non esista un’altra maggioranza in Parlamento. Un Parlamento composto per il 60% da persone che aspettano il settembre 2022, quando matureranno il diritto al trattamento pensionistico. Voi rinuncereste a 1500 euro al mese a partire dai 65 anni?
È chiaro che adesso Salvini abbia un deterrente in più nei confronti del Movimento: un eventuale voto anticipato favorirebbe lui, senza contare che Di Maio e i suoi – tutti parlamentari alla seconda legislatura – non si possono ricandidare come ha ricordato settimana scorsa Casaleggio. Ciononostante, non so quanto a Salvini convenga rischiare che si formino maggioranze diverse. In questa situazione, può facilmente esercitare un controllo maggiore sull’azione di governo, imporre la propria agenda, i propri temi e costruire il campo per le prossime scadenze politiche, a cominciare dall’elezione del prossimo presidente della Repubblica nel febbraio del 2022. In ogni caso, quando Matteo Salvini vorrà mettere in crisi il governo dovrà pronunciare una sola parola: “Casaleggio”. Quello sarà il segnale.
Le defezioni che possono mettere a rischio la maggioranza, in queste condizioni, possono arrivare verosimilmente dal gruppo di senatori di seconda nomina del Movimento 5 Stelle. Sono quelli che hanno meno da perdere (non sarebbero comunque ricandidati) e più da guadagnare (niente restituzioni, visibilità in prospettiva magari di un cambio di casacca). Occhi puntati lì, quindi. Ma niente paura: prima di mettere in crisi la legislatura c’è pronta la pattuglia di Fratelli d’Italia. Soprattutto se si dovesse saldare il rapporto con la Lega in europa, per Salvini non sarebbe difficile convincere Di Maio e Casaleggio ad accogliere i nuovi alleati. Questo punto lo approfondiamo fra un attimo.
Non credo sia verosimile – per ora – un’ipotesi alfaniana, cioè Di Maio e i suoi che formano un gruppo autonomo per non far cadere il governo, uscendo dal Movimento. Anche perché non ci sarebbero i numeri in Senato: ai senatori di prima nomina Casaleggio può garantire la ricandidatura, uscire dal Movimento sarebbe un salto nel buio. Mai dire mai, comunque.
La diretta conseguenza di tutto ciò è che d’ora in poi, pur di mantenere lo status quo, Di Maio e i suoi cederanno su qualsiasi cosa. Hanno già salvato il ministro dell’Interno da un processo, ceduto sul Tap, il terzo valico, il Muos, gli F35. Cederanno anche sul Tav. Prima di tornare a vendere lattine a San Paolo – professione peraltro rispettabilissima – Di Maio si venderà pure le mutande.
Nemmeno i cosiddetti dissidenti credo vogliano la testa di Di Maio: sono preoccupati per la loro. Tutti hanno l’interesse a far durare la legislatura e per farlo serve che tutti gli incarichi, dai ministeri alla segreteria politica, siano svolti bene.
Il Movimento da domani
L’assemblea dei gruppi prevista mercoledì 29 maggio aprirà la guerra civile. Io avevo previsto che sarebbe accaduto con un risultato sotto il 21%, e il 17% lo è di molto. Vedremo quanto è forte la fronda, o le fronde. Sembrano esserci vari livelli di contrasto alla leadership: dai più agguerriti ai più comprensivi (come il senatore Paragone) tutti hanno messo nel mirino il capo politico. Ma chi veramente vuole cambiare le cose facendo chiarezza dovrebbe partire dalla testa, da cui di solito il pesce puzza: il ruolo di Davide Casaleggio e dell’associazione Rousseau. Se nessuno lo farà saremo di fronte a una banale spartizione di potere.
È comunque abbastanza evidente che Di Maio non può continuare a gestire da solo il partito, i due ministeri e il comitato delle rendicontazioni. Un organo, quest’ultimo, non previsto da nessuno statuto che raccoglie tutte le restituzioni dai parlamentari prima che queste siano destinate ai fondi scelti di volta in volta (spesso, in realtà, ai comitati elettorali). Vedremo quale sarà la soluzione che verrà elaborata, ma l’unico fatto certo è che lo Statuto prevede che la carica di capo politico duri cinque anni. L’unico che può decidere di cambiare davvero è Casaleggio, che però prima dovrebbe costruire un’alternativa. È per questo che lui e Di Maio hanno tolto dalle mani dell’assemblea la decisione, chiedendo il voto su Rousseau, piattaforma – come certifica il Garante della Privacy – non trasparente, insicura, manipolabile. La sua investitura arriva da Casaleggio-Rousseau ed è lì che cerca la conferma, con il solito quesito per gli attivisti che già suggerisce l’ovvia risposta (“Vuoi confermare Luigi Di Maio come capo politico?”). Oggi è arrivata poi la Cassazione: Beppe Grillo ha detto che Luigi va bene, i gonzi sanno cosa rispondere.
Di Maio, inoltre, da capo politico può governare la riorganizzazione del partito da un punto di forza, potendo prevedere ruoli e percorsi per sé e i suoi dopo l’esperienza di governo, quando non potranno più ricandidarsi.
In quest’ottica, va ricordato un fatto: il Movimento non è un’entità indipendente. Fa parte di un sistema di potere, come ogni partito. Ha una sua constituency e ha il suo proprietario di fatto con interessi propri. Questo sistema, come già visto, ha dimostrato di saper cambiare velocemente pelle, struttura, rappresentanti e sponsor. Lo saprà fare anche adesso. Non sono finiti. L’equilibrio da trovare sarà tra il futuro dei nuovi volti del Movimento che aspettano il proprio turno, gli interessi di Casaleggio e quelli del gruppo dirigente attuale che ancora deve capire cosa farà dopo questa esperienza di governo.
In termini generali, Casaleggio può tranquillamente pianificare la prossima legislatura all’opposizione, far maturare nuovi dirigenti e tornare in area di governo successivamente.
Il sistema proporzionale vigente, però, lascia spazio a parecchie sfumature. Questo governo è un’anomalia: dal dopoguerra non era mai successo che una maggioranza fosse composta da due soli soggetti. Non potrà reggere a lungo, questa situazione. Se veramente il Movimento aderirà al gruppo di Salvini in europa, l’area di governo attuale sarà quella definitiva per Casaleggio e compagnia. Quella, peraltro, in cui si trovano meglio per cultura (si fa per dire) personale. Consolidare i rapporti adesso significa porre le basi per una stabile area politica per le legislature a venire. Le regole del Movimento vietano le ricandidature, ma gl’incarichi governativi non sono elettivi. Di Maio farà di tutto per normalizzare i rapporti con la Lega senza darlo troppo a vedere. Dovrà lasciarlo accadere, facendo intendere la possibilità di carriere per tutti. Questo sarebbe il punto di caduta che potrebbe accontentare tutti e che permetterebbe di liberare il movimento dagli ultimi scocciatori che lo vorrebbero forza battagliera di opposizione.
Alessandro Di Battista
Due righe su Di Battista: l’ex deputato ha il coraggio di un leone morto e le capacità politiche come quelle tecnologiche di Casaleggio. È un agitatore buono per l’opposizione. Se torna lui, saprete che da Milano hanno scelto la ritirata.
Guida pratica per l’opposizione
Infine, l’opposizione. Come si combatte un sistema simile? Dalla testa. Trattare con Di Maio, parlare di Di Maio, pensare a Di Maio è precisamente ciò che permette al sistema di reggere.
Il segretario di un partito parte con un handicap: è sostituibile, a differenza di Casaleggio. Il Movimento può permettersi di sbagliare perché i vertici politici sono sostituibili, i parlamentari devono la loro carriera passata e futura a Casaleggio. Basterebbe costringere il Movimento a interrogarsi sul ruolo di Casaleggio per demolire il castello di carte che questo si è costruito intorno. Basterebbe chiedere alle autorità preposte d’indagare gl’interessi di Milano, le influenza esercitata da Davide, le promesse, le garanzie, i clienti. Il Movimento è il tassello di un sistema di potere: o lo conosci e lo combatti o sei parte di esso, non ci sono alternative.
Il tempo, si sa, è galantuomo e Federico Pizzarotti ha fama di essere persona paziente.
Il sindaco di Parma, noto per aver abbandonato il Movimento 5 Stelle dopo anni di mobbing da parte dei dirigenti, sta costruendo quella che sembrerebbe avere il sapore dolce di una sonora rivincita.
L’anno scorso, infatti, insieme ad altri amministratori locali ha fondato “Italia in Comune“, un partito che si propone di raccogliere l’esperienza e il pragmatismo dei sindaci, senza precludersi alleanze con altre forze politiche.
Così pare si stiano materializzando gl’incubi peggiori di Grillo, Di Maio e Casaleggio.
Italia in Comune ha infatti annunciato la costituzione di una lista che appoggerà la candidatura del sindaco PD di Cagliari, Zedda, a governatore della Sardegna.
Ha pure siglato un’intesa coi Verdi per una lista comune per il Parlamento Europeo: una sfida diretta proprio al Movimento 5 Stelle, che coi Verdi aveva cercato più volte un’intesa spinta soprattutto dagli attuali europarlamentari, soprattutto Dario Tamburrano.
Con la Lega di Salvini che sta prosciugando il campo a destra e Pizzarotti quello a sinistra, Di Maio potrebbe restare senza gruppo politico al Parlamento Europeo. A quel punto la scelta sarebbe l’inutilità o la resa: l’alternativa sarebbe, infatti, l’adesione al gruppo di Salvini e Le Pen.
Sarà una campagna elettorale oltremodo divertente.