Casaleggio sul Corriere. Parte 2 di 7: la partecipazione

Commento la seconda parte della lettera di Casaleggio al Corriere della Sera che parla di partecipazione. Qui trovate la prima parte. Come ho già scritto, ritengo importante commentare queste deliranti teorie perché se nessuno lo fa il rischio è che si dia per scontata la loro validità.

Nel primo articolo abbiamo affrontato il tema della rappresentanza. Oggi quello della tecnologia.

Lo scopo di Casaleggio è quello di promuovere la digitalizzazione dei processi democratici. Lo fa per un duplice vantaggio: l’azienda che presiede, Casaleggio Associati, fornisce ai propri clienti consulenza nel campo tecnologico legato alla rete. Se il pubblico accetta che ci siano vantaggi nel digitalizzare ogni processo, i suoi servizi aumentano di valore. Il secondo motivo è che con l’Associazione Rousseau Casaleggio è direttamente in questo business. Rousseau vende servizi di amministrazione di grandi organizzazioni. Quello è il suo prodotto. Abbiamo già visto come il riferimento, nel suo scritto, a realtà diverse dalla politica, come i sindacati e l’azionariato, non sia casuale.

Il secondo “paradosso” è quello chiamato “luddista con lo smartphone”. Secondo l’Erede, chi sottolinea il rischio di applicare determinate tecnologie al voto lo fa per paura della stessa tecnologia che utilizza per altre cose.

Il paragone viene fatto con i sistemi di pagamento e la prenotazione di voli e treni: ci siamo adattati alle tecnologie per questi servizi, perché non farlo col voto?

Gli errori logici di Casaleggio

La riflessione di Casaleggio è fallace per almeno tre motivi.

Primo, sono paragonati processi – e quindi rischi – diversi. La gestione del mio denaro e la prenotazione di un viaggio sono azioni che riguardano rapporti tra privati. Io e la banca, io e l’azienda di trasporto. Il voto e la partecipazione attengono al mio rapporto con la collettività. Le conseguenze di eventuali problemi tecnici o tecnologici possono avere conseguenze sulla mia persona. Posso accettare il rischio di un disservizio sulla prenotazione di un treno e sulla consultazione dell’estratto conto.

Non si può accettare alcun rischio aggiuntivo rispetto all’esercizio del voto. Non devo nemmeno essere messo nelle condizioni di poterlo accettare, perché le conseguenze degli eventuali “disservizi” ricadono sull’intera collettività.

Secondo: è falso dire che chi teme il voto elettronico lo faccia per paura della tecnologia. È vero l’esatto contrario. Sono esattamente gli esperti di tecnologia – per inciso Casaleggio non è un tecnico, è laureato in economia e commercio ed è un imprenditore – i più critici verso l’uso della tecnologia in questo campo. Proprio perché conoscono i limiti e i rischi sanno che il voto a distanza, soprattutto il voto in rete, è più pericoloso di quello cartaceo. I rischi di brogli, errori anche in buona fede, manipolazioni sono infinitamente più alti, come ho spiegato molte volte. Non è possibile, allo stato attuale della tecnologia, costruire un sistema di voto che sia sicuro in termini di certezza dell’espressione di voto, segretezza e verificabilità. Non si può proprio fare. La rete Internet è peraltro un’infrastruttura commerciale pensata con standard di sicurezza e affidabilità infinitamente inferiori a quelli che sarebbero necessari.

Il medium è determinante per la partecipazione

Terzo: la democrazia, la partecipazione alla vita pubblica, la politica sono attività che implicano relazioni sociali. È stato anche dimostrato, ma è facile intuire come sia falso che il medium sia uno strumento neutro in questo ambito, come sostiene Casaleggio. Lo abbiamo sperimentato tutti: la tecnologia negli ultimi anni ha profondamente mutato le nostre relazioni, la nostra vita sociale. È cambiato il modo in cui ci rapportiamo ai nostri amici, parenti, compagni, in cui troviamo partner sessuali, il modo in cui si formano le nostre idee.

Davide Casaleggio quando afferma che il medium quando si partecipa è un semplice strumento mente sapendo di mentire. Suo padre Gianroberto era il primo a sapere che tramite gli strumenti tecnologici si possa facilmente manipolare le opinioni e orientare il consenso. Lo ha sperimentato per anni quando dirigeva WebEgg, lo ha messo in pratica quando curava il Blog di Grillo e costruiva il movimento.

Lo sosteneva quando parlava, per esempio, delle piattaforme di voto che aveva studiato, come LiquidFeedback. Era troppo complicata, sosteneva, tanto che il Partito Pirata era fallito proprio per la scarsa semplicità dei suoi strumenti di partecipazione. Peraltro, lo stesso Davide Casaleggio ha spiegato nel suo libro “Tu sei Rete” come sia possibile manipolare il consenso tramite le reti sociali.

Per aumentare la partecipazione bisogna semplificare il processo e gli strumenti, a costo della qualità del dibattito e del prodotto culturale. Se aumenta la partecipazione ma scende la qualità, si è solo trovata nuova “manodopera” per il proprio partito. Nel caso del voto, abbassare la qualità equivale ad aumentare la probabilità di manipolazione. Il modo in cui sono formulate le domande, il posizionamento delle opzioni di voto, perfino l’interfaccia, i colori dei pulsanti, le dimensioni dei bottoni, il numero di verifiche richieste ha conseguenze sull’esito della scelta. Il medium, soprattutto nel caso del voto, è tutt’altro che uno strumento neutro.

Qualità e quantità

Peraltro, anche in termini di quantità non è vero che il voto elettronico diminuisca la propensione all’astensione. Lo dimostrano ricerche sull’esperienza Estone, ad esempio.

Insomma, digitalizzare un processo delicato come l’espressione del voto non migliora la qualità del prodotto culturale, politico e sociale né aumenta il numero di attivi nelle scelte. Aumenta solo i rischi di manipolazione del voto, errori e interferenze.

Tant’è che in alcuni paesi la votazione digitale è stata resa incostituzionale (in Germania) e alcuni Stati americani la stanno mettendo al bando.

Solo chi ha interessi commerciali nel settore sostiene che votare online sia bello, efficiente, migliore. Come Casaleggio.

ONU: l’insostenibile inadeguatezza di Casaleggio

Lunedì sera, ne abbiamo parlato ieri, Davide Casaleggio è intervenuto ad un incontro a margine dell’Assemblea generale dell’ONU, organizzato dal governo italiano, sulla cittadinanza digitale.

Come ho già spiegato, l’operazione sembra davvero interamente commerciale. L’organizzazione era iniziata col governo precedente, ma il Ministro Moavero non sapeva che Casaleggio avrebbe presenziato. Non si capisce a che titolo Casaleggio sia intervenuto: non è un esperto del settore, l’unica esperienza in campo digitale pratico, la piattaforma Rousseau, è disastroso. Se invece riflettiamo sul fatto che sia Casaleggio Associati, la sua società, sia l’Associazione Rousseau hanno interessi commerciali nel settore, tutto diventa molto più chiaro.

Ho seguito la conferenza con attenzione: mi ha colpito l’assoluta inadeguatezza di Casaleggio in quel consesso.

Tutti gli altri partecipanti avevano competenze specifiche o ruoli di rappresentanza. Nessuno ha parlato di voto via internet. Per il resto del mondo, la cittadinanza digitale non è questo. Per cittadinanza digitale s’intende l’insieme di servizi dell’amministrazione pubblica per semplificare i processi quotidiani, garantire diritti e salute, migliorare la qualità della vita. Tutti, nessuno escluso, hanno sottolineato l’importanza della sicurezza informatica e del corretto trattamento dei dati personali. In mancanza di queste due precondizioni, si scivola in una società del controllo dove i cittadini sono vittime di abusi da parte dei potenti.

Non sapevano, i relatori, chi fosse Casaleggio, seduto allo stesso tavolo. Un potente, proprietario di un partito al governo, che con l’abuso dei dati ha profilato gl’iscritti al suo partito, tramite una piattaforma nota per essere stata violata più volte, che non possiede i minimi standard di sicurezza richiesti negli anni Novanta.

Casaleggio ha perso il futuro

La quasi totalità dell’intervento di Casaleggio guardava indietro. Partito da metà dello scorso millennio, ci mette quasi 6 degli 8 minuti per arrivare ai giorni nostri. Le precedenti relazioni erano, invece, proiettate all’oggi e al domani, alle sfide concrete, documentate che i governi dei paesi sviluppati e in via di sviluppo affrontano e vincono. Ai problemi che hanno risolto e alle minacce che la digitalizzazione porta inevitabilmente con sé. “Più si diffonde la digitalizzazione del mio paese, più aumentano gli attacchi informatici, è un problema che va risolto” spiega il rappresentante del Bangladesh.

Casaleggio spiega, lasciando tutti basiti, che grazie all’industrializzazione le donne hanno potuto iniziare a lavorare perché “non facevano più fatica fisica”. I diritti delle donne, dei minori sono subordinati al progresso tecnologico, non esistono in quanto tali. Uno schifo.

Passando per la promozione di Rousseau, del Movimento (a proposito: è lecito nella grammatica diplomatica internazionale pubblicizzare un partito alle Nazioni Unite?) e del V-Day, Casaleggio spiega che dobbiamo inserire nel concetto di cittadinanza digitale la partecipazione ai processi politici.

All’ONU Casaleggio, insomma, promuove la sua realtà politica, la sua figura di presunto esperto di cittadinanza digitale, i servizi e i temi sui quali ha interessi economici e commerciali sia con Casaleggio Associati che con l’Associazione Rousseau.

Un oltraggio all’immagine del nostro Paese, che piega il governo all’interesse del capo del suo partito. Proprio come gli ultimi 25 anni.

Casaleggio all’ONU è un’operazione commerciale

Ieri sera (ora italiana) Casaleggio ha tenuto un discorso a un evento collaterale all’ONU. L’evento è organizzato dal governo italiano in circostanze, tanto per cambiare, piuttosto singolari. L’ex ministro degli esteri Moavero Milanesi ha dichiarato che fu Di Maio ha chiedere di preparare la conferenza senza informarlo che Casaleggio avrebbe partecipato.

Il tema è la democrazia digitale. Casaleggio sostiene che Rousseau sia un caso di studio internazionale, che all’estero siano molto interessati all’esperienza italiana. In realtà è una balla: nessuno conosce davvero Rousseau e quando se ne parla è in termini negativi.

È proprio questo il problema di Casaleggio: la sua necessità è quella di promuovere la propria figura come quella di un esperto di democrazia diretta e la piattaforma Rousseau come applicazione di maggior successo nel settore. Davide in realtà non è affatto un esperto di democrazia, diretta o meno. Ha una laurea in economia con una tesi sul marketing digitale. L’associazione Rousseau è stata multata due volte per il disastro tecnico e manageriale con cui hanno trattato i dati sensibili degli utenti.

Ripulirsi l’immagine

Casaleggio ha quindi necessità di ripulire la sua immagine disastrosa di manager e promuovere il suo prodotto dopo il fallimento delle alleanze in europa che avrebbero dovuto portare nuovi clienti per quell’ente commerciale che è l’Associazione Rousseau. Ricordate? Di Maio aveva garantito accesso alla piattaforma per i potenziali alleati. La stessa piattaforma che i parlamentari del Movimento pagano 300 euro al mese.

Di Maio quindi, come abbiamo raccontato ne Il Sistema Casaleggio, si comporta come il procuratore di affari per Davide Casaleggio che, in cambio, gli lascia gestire il braccio politico del suo gruppo, cioè il Movimento 5 Stelle. Questo è il reale motivo per cui ha mandato Casaleggio all’ONU.

Così andrebbe raccontata questa incresciosa vicenda. Se potete, fatelo sapere ai vostri conoscenti condividendo questo articolo.

Il voto su Rousseau: fake news su proprietà e sicurezza

Il 31 agosto 2019, prima del voto sul governo M5s-PD, Casaleggio pubblica sul sito dell’Associazione Rousseau – il Blog delle Stelle – quelle che chiama 10 “fake news” da sfatare sulla sua piattaforma. In questo articolo analizziamo i primi due punti che riguardano la proprietà di Rousseau e la sua sicurezza.

Sono, in tutto o in parte, balle. Vale la pena preparare una serie di articoli che torneranno certamente utili al prossimo voto.

La proprietà

Scrive Casaleggio: “La piattaforma Rousseau è gestita da un’azienda privata, la Casaleggio Associati Srl. FAKE NEWS”.

Sì, la piattaforma Rousseau è gestita da un soggetto privato. Prima era Casaleggio Associati, dal 2016 è l’Associazione Rousseau. L’Associazione è stata fondata, in circostanze singolari, da Gianroberto e Davide Casaleggio. Il primo sarebbe morto quattro giorni dopo. I due sono anche i fondatori di Casaleggio Associati. Rousseau viene fondata come spin-off di Casaleggio Associati, per salvare l’azienda dagli elevati costi del progetto. Ai fini fiscali, Rousseau è considerata un ente commerciale che vende i suoi servizi ai parlamentari del Movimento 5 Stelle, grazie allo Statuto del partito scritto da Luca Lanzalone.

Davide Casaleggio assomma tutte le cariche sociali di Rousseau e la gestisce come se fosse la tesoreria del partito. Rousseau è in realtà, come spiegato, uno spin-off di Casaleggio Associati tramite il quale Casaleggio si fa finanziare il suo progetto con soldi di provenienza pubblica.

La sicurezza

Al punto due di quel divertente articolo, si legge: “Il voto per il Progetto di Governo non è sicuro. La piattaforma su cui si voterà è stata multata dal Garante della privacy . FAKE NEWS”

Sulla sicurezza ci sarebbe davvero molto da dire. Bisogna partire dall’assunto che il sistema informatico sicuro non esiste.

Per quanto riguarda l’infrastruttura, ci sono stati dei miglioramenti, avendo Casaleggio deciso di affidarsi a un’azienda specializzata. Sul codice invece non sappiamo nulla. Zero.

Casaleggio non ha mai rilasciato i sorgenti, quindi non sappiamo come siano calcolate le preferenze, se ci siano errori, se siano tracciati e profilati gli utenti. Sicuramente il voto, in queste condizioni, è ancora da considerarsi manipolabile.

Si dice pure che questa piattaforma è diversa rispetto a quella multata dal Garante della Privacy, ma non c’è modo, per ora, di tenere tracciati gli aggiornamenti. Anche quelli annunciati, però, non sono sufficienti per considerare affidabile il sistema. Il Garante ha già sottolineato come siano irrilevanti rispetto ai limiti tecnici e manageriali scoperti durante le loro ispezioni. Lo hanno detto esplicitamente in un comunicato il 5 aprile 2019.

Va inoltre ricordato che Rousseau e Casaleggio non hanno impugnato l’esito dell’istruttoria che ha portato alle multe: erano state violate regole, prassi, leggi.

Su proprietà e sicurezza di Rousseau, a mio avviso, si dovrebbero fare molti più approfondimenti con strumenti più simili a quelli delle procure che a quelli dei giornalisti.

Il mio panel con Nicola Biondo al Wired Next Fest 2019

Sabato sono stato al Wired Next Fest insieme a Nicola Biondo. Io e Nicola dal 2016 raccontiamo il Movimento 5 Stelle come nessun altro può farlo. Siamo stati ai vertici del partito quando è nato e quando è arrivato in Parlamento. La nostra storia l’abbiamo raccontata in Supernova, mentre il Sistema Casaleggio racconta il sistema di potere che Davide Casaleggio ha ereditato da suo padre dopo la morte di Gianroberto Casaleggio. Di questo abbiamo parlato durante il panel.

Il vincolo di mandato

Una delle balle più clamorose che il Movimento 5 Stelle va ripetendo è che l’introduzione del vincolo di mandato sia sempre stato un loro cavallo di battaglia.

In realtà la genesi di questa – pericolosa – norma è piuttosto singolare. Non ha niente a che fare con una particolare riflessione sulle istituzioni, sull’onorabilità del Parlamento, nemmeno con la democrazia diretta che il Movimento vorrebbe introdurre.

A dire il vero, non ha niente a che fare nemmeno con gli esponenti del Movimento. Non è una riflessione scaturita durante le assemblee, le riunioni, le riflessioni, la vita parlamentare.

A volere il vincolo di mandato fu Gianroberto Casaleggio nel 2013, per gestire un gruppo parlamentare completamente allo sbando, quello formatosi dopo il voto di quell’anno. La prima volta che si parla concretamente di un vincolo è con il regolamento per gli europarlamentari eletti al voto del 2014. Casaleggio voleva un modo per costringere gli eletti a seguire le sue istruzioni. Non era persona da gradire il dialogo, scendeva poco a Roma, non aveva voglia o pazienza di convincere, mediare, discutere. Costrinse i candidati a impegnarsi a versare 150.000 euro in caso avessero abbandonato il Movimento 5 stelle dopo essere stati eletti.

Introdusse questo vincolo anche per il voto al comune di Roma e, ovviamente, per quello politico del 2017.

In realtà, una simile clausola è totalmente inapplicabile. Ci aveva provato pure con Italia dei Valori, ma nessuno è mai riuscito a riscuotere queste multe in virtù dell’articolo 67 della Costituzione, che tutela la libertà degli eletti che rispondono solo agli elettori e alla propria coscienza. Casaleggio lo sapeva: quando Nicola Biondo, all’epoca capo dell’ufficio comunicazione alla Camera, glielo fece notare la risposta fu: “Lo so: basta che lo credano”.

Quando Casaleggio era contro il vincolo di mandato

Non è finita qui. Fino al 2013 Casaleggio era stato un sostenitore dell’articolo 67 della Costituzione, che vieta il vincolo di mandato. Ci sono numerose testimonianze di ciò. Com’è noto, e come abbiamo raccontato in Supernova, Gianroberto Casaleggio è stato il ghostwriter di Beppe Grillo fin dal 2005 quando insieme aprirono il Blog.

Nei vecchi post si possono trovare numerosi esempi di quando quella norma era usata per argomentare contro i parlamentari brutti e cattivi che obbedivano al capo. Quando Gianfranco Fini non si dimise da presidente della Camera. O nel comunicato politico numero quarantacinque, dove si dice che i parlamentari del Movimento risponderanno ai cittadini e alla propria coscienza, e non al partito.

Salvo poi cambiare idea quando al partito, cioè a lui, non questi non obbedivano. E allora l’articolo 67 diventa quella norma che permette agli eletti di “fare il cazzo che gli pare”.

I parlamentari del Movimento, quindi, vogliono una norma pensata per evitare che loro stessi possano svolgere le mansioni per cui sono pagati.

Perché i senatori ce l’hanno con Di Maio

Ieri la stampa riportava le cronache marziane dall’assemblea dei senatori del Movimento 5 Stelle. I senatori, pare, ce l’hanno con Di Maio.

Ciclicamente capita che ci siano mugugni nei gruppi parlamentari e che i giornalisti subito parlino di scissione imminente, dissidenti, scontri fratricidi. Io credo che si possa e si debba guardare ai fatti con le giuste proporzioni, ricordando sempre la stella polare: nessuno farà nulla che possa mettere a rischio la legislatura. A settembre 2022 i parlamentari di prima nomina, numerosissimi in parlamento (60%) e soprattutto nel Movimento, matureranno il diritto alla pensione. Come avevo previsto, la crisi di governo non ha portato a elezioni, ma si sono formate nuove maggioranze: dovesse fallire anche il Conte 2, si troveranno nuove geometrie.

Vero è che nel Partito Democratico ci sono state maggiori conseguenze: Renzi e i suoi hanno creato nuovi gruppi, autonomi rispetto al PD. Capisco che ci sia la tentazione di applicare le stesse logiche anche al Movimento, ma la geografia politica e le dinamiche del partito di Casaleggio sono completamente diverse.

L’organizzazione di Rousseau

Anzitutto bisogna sottolineare un fatto: il know how organizzativo, i dati, la memoria storica, la capacità di gestire il fiume di soldi che deriva dall’essere in parlamento risiede nell’Associazione Rousseau. Non c’è nessuno, nel Movimento, che abbia le capacità necessarie a formare un proprio partito. Se mai ci sarà una scissione, chi si allontana è destinato all’oblio. Anche soltanto per contattare i sostenitori, tutti devono passare da Casaleggio. Al contrario, Renzi da sempre coltiva la propria base indipendentemente dagli organi di partito, cominciando dalla sua newsletter. Da oltre 10 anni, l’ex primo ministro invia ogni settimana una mail ai propri sostenitori. In dieci anni ha raccolto chissà quante decine di migliaia di contatti di cui dispone direttamente, personalmente.

Nel Movimento, questo lavoro l’ha svolto Casaleggio Associati prima e Rousseau poi. Formalmente i dati sono dell’Associazione Movimento 5 Stelle, ma nessuno ha le capacità tecniche di gestire la macchina indipendentemente dal personale di Casaleggio.

Parlamentari, Consiglieri e fan

Bisogna poi distinguere i diversi gruppi all’interno del Movimento. Non in base alla fedeltà verso Di Maio, Casaleggio, Grillo ma secondo il trascorso politico e le prospettive. Ci sono i parlamentari di seconda nomina, quelli eletti per la prima volta nel 2013. La maggior parte di loro è sottosegretario, ministro, viceministro, presidente di commissione, capogruppo. Oppure lo è stato nel governo con la Lega. Insomma, più o meno tutti sono stati premiati con un incarico. Alcuni hanno scelto di non ricandidarsi, come Alessandro Di Battista, facendo probabilmente un calcolo sbagliato, visto che l’ultima cosa che si aspettava era un governo col Partito Democratico. Questi parlamentari non potranno essere rieletti nel caso la legislatura duri fino alla fine, ma non hanno neanche la garanzia che possa valere per tutti la deroga su cui Di Maio può contare alla regola dei due mandati (quella che vieta più di due mandati parlamentari).

Ci sono i parlamentari di prima nomina, eletti nel 2018. Rispetto ai loro compagni politicamente più anziani, hanno avuto il vantaggio di essere guidati dentro il palazzo. Sanno che al prossimo giro potranno anche loro accedere alle cariche più prestigiose nelle commissioni o, chissà, di nuovo al governo se dovessero farne parte anche alla prossima legislatura. A questo gruppo di persone non spaventa il voto. Tra questi, peraltro, c’è una piccola pattuglia di persone selezionate direttamente da Luigi Di Maio per fare da pontieri verso gli altri soggetti politici. Il Senatore Paragone verso la Lega, e sarebbe dovuto diventare presidente della commissione d’inchiesta sulle banche, ora saltata. Spadafora, verso il Partito Democratico, adesso ministro. Emilio Carelli, ex uomo-Mediaset verso la destra più moderata.

Un altro gruppo è quello dei consiglieri comunali e regionali: sono i beneficiari del famoso “mandato zero”. Potranno candidarsi al parlamento anche se hanno fatto due mandati nelle istituzioni locali. Inoltre, c’è una batteria di fan, per lo più assistenti parlamentari e dei consiglieri regionali, che aspettano la prima occasione utile per diventare loro stessi onorevoli o consiglieri.

Chi sono i senatori che ce l’hanno con Di Maio

Non sappiamo (ancora) chi abbia sottoscritto il documento di cui si parla e il cui contenuto è peraltro ignoto, ma secondo me la maggior parte dei parlamentari fanno parte del primo gruppo. Il motivo è abbastanza semplice da intuire. Più avanza la legislatura più è chiaro chi avrà un futuro politico: Di Maio e il suo strettissimo giro di tirapiedi. In qualche modo ci sarà la possibilità per un gruppo di persone di continuare l’attività politica. Le opzioni sono tante, ma se guardiamo quanto accade a livello locale, la svolta più probabile è che si costituiscano liste “civiche” per non “disperdere l’esperienza maturata” nei dieci anni di Parlamento, costituita da Di Maio, aperta solo ai suoi stretti collaboratori, con la benedizione di Casaleggio (che magari potrebbe sperimentare il subaffitto di Rousseau a un’altra realtà oltre al Movimento).

Chi sente di poter essere fuori, teme per il proprio futuro. Michele Giarrusso, per esempio, non sembra tipo che il “moderato” Di Maio possa portarsi dietro, così come Gianluigi Paragone, che peraltro, in base al codice di comportamento, dovrebbe subire l’allontanamento dal Movimento, non avendo votato la fiducia.

Casaleggio non teme affatto una scissione né vede con preoccupazione il fatto che ci siano parlamentari che lasciano il Movimento per altri lidi. Ci sono centinaia, migliaia di persone in attesa del proprio giro di giostra, disposti a noleggiare un seggio parlamentare per trecento euro al mese.

Il governo fa bene a Casaleggio Associati

Abbiamo visto come Davide Casaleggio abbia costruito un sistema di relazioni, soggetti giuridici, eventi, associazioni che gli permettono di essere determinante su molti tavoli. Di pochi giorni fa la notizia dei contatti con Massimo D’Alema in relazione alla formazione del governo e alla nomina del ministro della Sanità. Sappiamo che l’azienda di famiglia, Casaleggio Associati, ha sempre avuto rapporti molto stretti con la politica, fin dai tempi del secondo governo Prodi quando il cliente principale, Italia dei Valori, pompava soldi nelle casse della srl.

Ma quanto conta la politica e quanto conta, per Casaleggio Associati, “stare” al governo?

Basta dare una veloce occhiata ai bilanci.

I conti dell’azienda: fatturato e utili di Casaleggio Associati

Quello che segue è l’andamento dell’utile / fatturato dal 2006 al 2018 tratto da Il Sistema Casaleggio:

2006: 660.000 / 2.8M
2007: 615.000 / 2.7M
2008: 310.000 / 1.8M
2009: 119.000 / 1.63M
2010: 87.000 / 1.67M
2011: -57.800 / 1.4M
2012: 68.000 / 1.3M
2013: 255.000 / 2.1M
2014: -152.000 / 1.5M
2015: -123.000 / 1.1M
2016: -48.000 / 0.975M
2017: 20.480 / 1.17M
2018: 181.473 / 2.05M

Tra il 2006 e il 2007, quando Di Pietro è al governo, gli utili sono sempre oltre il mezzo milione di euro. Il 2008 e 2009 sono anni elettorali (politiche, parlamento europeo), l’utile è sempre molto alto. Dal 2010 inizia il declino. Calano gli utili, si va in rosso nel 2011: è nato il Movimento 5 Stelle mentre Italia dei Valori rescinde il contratto. Nel 2012 e 2013 ancora elezioni: regionali e politiche. Il 2013 è l’anno in cui il M5s entra in Parlamento. Gli utili schizzano a 255.000 euro e il fatturato supera i due milioni. La macchina di propaganda, però, diventa costosa. Il Movimento non è un cliente ma una propaggine dell’azienda, che si fa carico delle spese. Profondo rosso tra il 2014 e il 2016, con fatturato in picchiata. Nel 2016 muore Gianroberto, Davide prende in mano i conti e sposta i costi su Rousseau. Casaleggio Associati torna in utile nel 2017 e nel 2018, col Movimento al governo, raddoppia il fatturato e quasi decuplica l’utile.

 

D’Alema e il “patto dei soldi” col Sistema Casaleggio

Lo scorso 20 settembre La Stampa pubblica un articolo a firma Ilario Lombardo molto interessante. Racconta i contatti tra Davide Casaleggio e Massimo D’Alema. Un “patto dei soldi” che D’Alema sigla col Sistema Casaleggio che culmina nella nomina del ministro della Salute Speranza. L’Erede, ancora una volta, marca la differenza col padre nella gestione del partito e delle relazioni mettendo al primo posto il (proprio) business.

Parlo di “patto dei soldi”, tra virgolette, non perché ci sia stato un passaggio di denaro tra i due. Tutto, però, ruota intorno a Consulcesi, azienda con interessi molto diverso. Il presidente Massimo Tortorella è in ottimi rapporti sia con D’Alema che con Casaleggio. Di quest’ultimo è anche sponsor. Attenzione, non un finanziatore dell’Associazione Rousseau, ma sponsor di Casaleggio Associati, l’azienda di famiglia di Davide.

Se il governo con la Lega era stato costruito da Gianroberto Casaleggio con anni di ammiccamenti propagandistici, quello di Davide col PD si sta edificando su ben più solide fondamenta: soldi, relazioni, traffico d’influenze che prima o poi qualcuno dovrà verificare se siano lecite o meno. La nuova passa dai soldi, dal business. Le relazioni sono costruite in funzione di quello, la politica cementa i rapporti e porta nuovi contatti.

L’intermediario

Del resto chi ha già letto “Il sistema Casaleggio” che ho scritto insieme a Nicola Biondo, Consulcesi la conosceva già.

Ho descritto il giocattolo di Casaleggio ancora una volta solo pochi giorni fa. Spiegavo che un imprenditore che volesse intrattenere rapporti con la politica, in particolare col Movimento 5 Stelle, non avrebbe bisogno di fare donazioni al partito, che per statuto le rifiuta. Non avrebbe neppure bisogno di farne all’Associazione Rousseau, che poi l’ammontare deve fastidiosamente diventare pubblico. Potrebbe, però, sponsorizzare Casaleggio Associati, proprio come fa Consulcesi Tech.

Se pensassimo male, ma com’è noto noi non lo facciamo, e la ricostruzione di Lombardo fosse confermata potrebbe essere sintetizzata così: un imprenditore con interessi nel settore della sanità e delle tecnologie blockchain si adopera per mettere in contatto i suoi amici politici per nominare insieme il ministro del suo settore d’interesse, la Salute. I due rispondono solleciti al suggerimento del comune amico. Chissà se questa sollecitudine dipende dal fatto che uno ha ricevuto inviti a convegni, presentazioni, docenze all’università in cui è direttore dell’Osservatorio Blockchain Massimo Tortorella- la Link, l’altro sponsorizzazioni per i rapporti prodotti dall’azienda che ha fondato il partito di governo dall’azienda di cui Tortorella è CEO. Forse questo è davvero il primo “patto dei soldi” del Sistema Casaleggio.

Qualcuno sa dirmi se questa situazione si possa paragonare alla vicenda della fondazione Open?