Davide Casaleggio che spiega cose

Casaleggio è un po’ così: gli parte l’embolo e conferma quel che vuole smentire, tra uno strafalcione grammaticale e l’altro.

Non so da dove iniziare il commento al post di fine anno di Davide Casaleggio.

C’è un errore grammaticale nelle prime 4 parole, è riuscito a sbagliare tutti – dicasi tutti – gli accenti delle “e”, come al solito conferma quanto vorrebbe smentire. Come sempre, nell’arco di quest’anno. Non era facile farlo con questa costanza per dodici mesi.

Il post merita il commento ragionato per due motivi: non lo ha fatto nessuno, tra i giornalisti e commentatori, e soprattutto è un pezzo di rara comicità contenutistica e linguistica.

L’introduzione

Partiamo dall’introduzione dei soliti dieci punti che Casaleggio espone. Come saprete, nelle ultime settimane si è molto parlato di Casaleggio Associati, per vari motivi. Emerge sempre più chiaramente che la posizione di Davide Casaleggio, presidente dell’azienda e dell’Associazione Rousseau, è in palese conflitto d’interessi. Il potere d’influenza dell’Erede sta diventando ingombrante. Davidavi imposta il suo messaggio, quindi, con l’intento di smorzare questa percezione. Lui è solo un tecnico che dà una mano a titolo gratuito, ha sempre detto.

A conferma, nei primi paragrafi dice: “Ho preferito non alimentare le polveri in un momento delicato come la legge di bilancio visto che mi sembravano strumentali alla contrattazione in corso da parte delle forze parlamentari.”

Rileggete ad alta voce, due volte. Fatto? Perfetto. Sì, apparentemente non ha senso. Non in italiano, almeno. Non si capisce cosa voglia dire che “le polveri”, se “alimentate” (con cosa? Curcuma? Pizza?) dovrebbero “essere strumentali da parte delle forze”.

Ma voi avete me, che in tre anni e mezzo ho potuto imparare a tradurre dal casaleggese all’italiano. Quello che vorrebbe dire è che, responsabilmente, ha evitato di parlare durante la formazione della legge di bilancio. Ohibò! Un suo sospiro quindi avrebbe potuto influenzare il governo! E chi l’avrebbe detto che Casaleggio ha una forte influenza sul partito e sul governo del Paese!!!

Insomma, come sempre quando gli parte l’embolo e non consulta il suo ufficio stampa, che almeno avrebbe corretto la grammatica e la sintassi, alla seconda frase si è legato il cappio attorno ai gioielli di famiglia, confermando con le sue parole quello che avrebbe dovuto, e voluto, smentire.

I conti dell’azienda

Come sempre da quando il Movimento è al governo e Casaleggio Associati ha ripreso a macinare fatturato, Davide cerca di negare l’evidenza. In questo caso, cita un paio di dati presi arbitrariamente dallo storico dei bilanci dell’azienda che, apparentemente, dimostrano che il M5s è stato causa di perdite finanziare per la società di famiglia. Lo è stato in alcuni momenti, appena prima della morte di Gianroberto Casaleggio, pessimo manager. Quando Davide subentra e prende il controllo di partito e azienda, opera immediatamente una riorganizzazione delle risorse, spostando Pietro Dettori da Casaleggio Associati a Rousseau, costituita in circostanze molto singolari mentre suo padre, in condizioni gravi di salute, era sul letto di morte. Grazie al Partito, salva i conti dell’azienda che, nel 2018 – primo anno del M5s al governo – raddoppia il fatturato e quasi decuplica gli utili. Qui trovate un’analisi più approfondita.

Casaleggio Continua spiegando che no, non assiste il Movimento per soldi. Non specifica chi abbia insinuato una simile corbelleria, ma tiene a precisare che, se volesse, potrebbe ottenere una nomina da “centinaia di migliaia di euro di solo stipendio”. Confermando di nuovo la sua influenza sul governo, a cui potrebbe chiedere una nomina col solo schiocco delle dita, per ottenere un sacco di soldi “di solo stipendio”. Per non parlare del resto. Quale sia il suo retropensiero sul resto, lo lascio immaginare al lettore.

Ancora una volta, conferma il suo potere di fatto, che deriva dall’essere sostanzialmente il capo del primo partito di governo. Lo scrivo, chiaro, qui a futura memoria, caso mai qualcuno deputato per legge a farlo volesse appurare la circostanza.

Le attività sospette di Casaleggio Associati

Di attività sospette non parlo io ma l’ufficio anti riciclaggio della Banca D’Italia. Attraverso degli accertamenti della Guardia di Finanzia, si è appurata l’esistenza di alcuni contratti che hanno portato a movimentazioni sospette di denaro. In particolare, sotto controllo è stato messo il rapporto contrattuale con Moby, azienda concessionaria di Stato.

Perché il contratto Casaleggio-Moby è ritenuto a rischio? Perché Davide Casaleggio è Persona Esposta Politicamente (PEP). Significa che il suo ruolo politico viene considerato quello di dirigente nazionale di un partito. Uno status che impone il controllo perché, potenzialmente, lo mette tecnicamente in condizione di eventualmente commettere reati tipici come corruzione o traffico illecito d’influenze. Per questo motivo, le persone con quello status sono sottoposte alla verifica delle movimentazioni sui conti correnti loro, dei familiari e delle loro aziende.

Moby ha un contratto che prevede, tra le altre cose, la “sensibilizzazione” delle istituzioni circa delle normative a cui l’azienda è interessata. Solo che le “istituzioni” sono il partito che Casaleggio guida e 600.000 euro più bonus sono un sacco di soldi.

Il problema non è, come vorrebbe far credere Casaleggio, che Moby avrebbe ottenuto effettivamente vantaggi da questo contratto nel suo rapporto col governo. Sarebbe vietato anche che qualcuno gliel’avesse ventilato. Per questo sono in corso gli accertamenti.

E in effetti, date le circostanze, la questione potrebbe essere anche più grave. Casaleggio conferma che Moby era “sotto attacco” dei responsabili trasporti del governo. Il ministro competente era Toninelli che, guarda un po’, è stato poi rimosso dal suo incarico. Fatto che a Moby non può che far piacere. Tutto bene?

Il conflitto di interessi di Davide Casaleggio

Non è Casaleggio Associati ad essere accusata di conflitto di interessi, come scrive l’Erede, ma proprio Davide Casaleggio.

Probabilmente i suoi soci si sono stancati di lavorare sotto questa costante pressione. Però se la definizione di conflitto d’interessi fosse quella di Davide (“quando una persona ha potere di firma su due lati dello stesso tavolo di contrattazione”), allora con Berlusconi abbiamo preso tutti un’enorme cantonata.

No, non c’entra il potere di firma, ma l’influenza (c’è pure un apposito reato) che una persona può operare per cui può decidere di fare i propri interessi o quelli della collettività.

Ma qui il conflitto d’interessi non è presunto: è certo. Come già detto, Casaleggio è Persona Esposta Politicamente. È un dirigente politico nazionale, quindi qualsiasi suo interesse privato è potenzialmente in conflitto con quello pubblico. E fa niente se la considera una “litania”, questa denuncia. Continueremo a recitarla finché l’inferno non ghiaccerà, se sarà necessario.

Nonostante le minacce che Casaleggio esprime nei confronti del parlamento, alludendo a “120 parlamentari con quote in un’azienda”. Ancora una volta, mettendo se stesso sullo stesso piano di ruoli apicali della politica italiana. Un genio.

Questo problema, peraltro, non si manifesta solo per il contratto con Moby. Casaleggio, per la natura delle sue attività commerciali, non dovrebbe nemmeno parlare dei piani sull’innovazione del Governo. Invece, non solo compare nei ringraziamenti del Ministro ma conferma di aver contribuito alla sua formazioni facendo consulenza gratuita.

Casaleggio ha rapporti commerciali anche con società di Fintech, di Food Delivery, di logistica. Tutte legittimamente interessate a normative che favoriscano i rispettivi business. Ma Casaleggio non se ne dovrebbe occupare, avendo responsabilità politiche che possono favorire quelle commerciali. Che quella consulenza “gratuita” gli porti vantaggi indiretti?

Piccola nota di colore è il passaggio in cui rassicura sui suoi rapporti con Grillo. L’osservazione più interessante è quella in cui rivela di essere stato al Campidoglio quando il Corriere sosteneva fosse a colloquio col suo avvocato. Ma, di grazia, cosa ci faceva in Campidoglio visto che non è nemmeno residente a Roma? Parlava di faccende politiche o amministrative col sindaco o col suo staff? Di business? Possiamo saperlo?

Cambridge Analytica

Infine, tra minacce di querela assortite come suo solito, Casaleggio precisa di non avere nulla a che fare con Cambridge Analytica. Il riferimento è allo scoop di Nicola Biondo sull’applicazione sviluppata da Casaleggio Associati che, potenzialmente, può avergli permesso di profilare milioni di profili Facebook senza che gli interessati ne fossero al corrente.

Su questo indaga, come al solito, il Garante della Privacy. Che peraltro dovrà essere rinnovato: di nuovo il conflitto di interessi, visto che Casaleggio ha potere di influenza su questa nomina ed è – direi quasi costantemente – sottoposto a verifiche sulle sue condotte da parte dell’Autorità.

Sono sicuro che il 2020 ci regalerà meravigliosi sviluppi di queste vicende. Io ho le dita che mi prudono, chissà che il Nostro non ci regali argomenti per nuovi approfondimenti che valgano una nuova fatica letteraria!

I profili fake di Rousseau

La nona presunta fake news riguardo il voto su Rousseau che Casaleggio vorrebbe sfatare riguarda la presenza di profili fake sulla piattaforma.

Sarebbero identità false, non corrispondenti a persone reali.

La replica rispetto a questa contestazione è piuttosto debole. Sostiene che i profili sono certificati solo se viene caricato un documento ufficiale, una email e un numero di telefono verificati.

Solo che un controllo del genere è molto facile da aggirare. Anzitutto, non è detto che chi sta fisicamente davanti allo schermo sia effettivamente chi dice di essere. Questo problema è irrisolvibile se non c’è un controllo fisico, di persona, dell’iscritto. Non si può avere in alcun modo la sicurezza che sia io a usare i miei documenti e non altri.

Aprire un indirizzo email e ottenere un’utenza telefonica è questione di pochi minuti. Non è nemmeno possibile controllare che il numero di telefono sia effettivamente intestato a chi lo usa. Le argomentazioni di Casaleggio, quindi, sono inutili. Tant’è che già dieci anni fa, quando si stava progettando il sistema, una dei problemi che io stesso avevo sollevato era proprio la modalità di verifica dell’identità. La scelta di Gianroberto Casaleggio fu quella di non complicare il processo ma inserire un deterrente legale. L’idea era quella di sfruttare la norma che punisce chi dichiara falsamente la propria identità. Quella norma però è ora stata soppressa, quindi anche avvenisse non c’è alcun modo di punire questo comportamento.

Inoltre, non si affronta il problema tecnico di eventuali errori del codice che permettessero la duplicazione delle utenze o il voto multiplo.

Infine, dichiarare il numero di aventi diritto al voto, come fa Rousseau, senza possibilità di verificarlo è totalmente inutile. È la parola di Casaleggio, di cui ci si deve fidare. E un sistema di voto che non sia intrinsecamente sicuro ma che preveda la necessità di fidarsi di qualcuno è di per sé inadeguato.

Incontro al Parlamento Europeo il 12 novembre

Oggi solo una comunicazione di servizio: sono stato invitato al Parlamento Europeo per una conferenza. Il titolo è “How is politics influenced by big data, micro-targeting and profiling? The case of the Five Star Movement in Italy and Brexit in the UK” – “Come la politica è influenzata da big-data, microtargeting e profilazione? Il caso del Movimento 5 Stelle in Italia e della Brexit nel Regno Unito“.

L’evento è organizzato dall’On. Alexandra Geese (Verdi) e si terrà il prossimo 12 novembre alle 15.30.

Saranno con me, oltre all’onorevole Geese, Jacopo Iacoboni, giornalista, Dr. Judith Möller (Assistant Professor for Political Communication, University of Amsterdam), Dr. Monica Horten (Visiting Fellow, London School of Economics) e Frederik Borgesius (Professor ICT and Law, Radbound University).

Se avete domande o suggerimenti, usate pure la sezione commenti!

Casaleggio, i dati e la fine di Di Pietro

Casaleggio Associati gestiva i dati del partito di Di Pietro. Il modo in cui la sua carriera e il suo partito sono finiti ne sono conseguenza diretta.

Quella vicenda è l’esempio pratico del motivo per cui Davide Casaleggio, tramite Rousseau, è il vero padrone del Movimento 5 Stelle.

Facciamo un passo indietro: tra il 2005 e il 2010 Casaleggio Associati ha gestito la comunicazione dell’Italia dei Valori, il partito di Antonio Di Pietro. Tra le attività, ci fu lo sviluppo di un sistema di gestione dell’anagrafica del partito che si chiamava UBIK.

Ubik era un software che permetteva ricerche tra gl’iscritti, invio di comunicazioni a segmenti di persone, una rudimentale profilazione.

Se volevi invitare gl’iscritti di Milano a una conferenza, mandare un comunicato solo ai giornalisti, scrivere solo ai contatti di Palermo, potevi farlo con Ubik.

Casaleggio Associati organizzava regolarmente gli eventi del partito e l’invio di comunicazioni e monitorava il successo (tecnicamente la “conversione”) di ciascuna comunicazione.

Aveva cioè acquisito la capacità di gestire quei dati, pur non essendo di proprietà dell’azienda. Il know how per l’amministrazione del partito era di fatto negli uffici di Casaleggio Associati.

Quando, dopo il voto europeo del 2009, i dirigenti dell’Italia dei Valori costrinsero Di Pietro a rinunciare alle consulenze di Casaleggio, che stava “infiltrando” il partito con le candidature promosse dal Blog di Beppe Grillo, UBIK, i canali di comunicazione, i contatti cominciano ad essere gestiti da personale di Roma. Fu letteralmente un disastro. Nessuno si rivelò in grado di gestire con efficacia quel patrimonio di dati, nessuno aveva il know how. Era rimasto in azienda e fu reinvestito nel Movimento 5 Stelle.

Il Movimento e Rousseau

Bene, il Movimento è nelle stesse condizioni: l’Associazione Rousseau possiede tutto il know how, le capacità di amministrazione sia dei dati che dei fondi del partito. Casaleggio e il suo staff sono gli unici che sanno utilizzare gli strumenti che loro stessi hanno costruito nel corso del tempo.

Conoscono i profili dell’elettorato, come reagiscono alle comunicazioni le persone che vengono contattate, chi sono gli elettori più impegnati e così via.

Se per qualsiasi motivo Il Movimento non fosse più amministrato da Casaleggio farebbe la stessa fine dell’Italia dei Valori. Per questo Davide è di fatto il padrone del partito e può disporne come più gli aggrada.

Marattin evita il dialogo: una tecnica di Casaleggio

La scorsa settimana Luigi Marattin ha proposto di obbligare chiunque voglia usare i social network a fornire un documento d’identità, ma evita il dialogo con gli esperti che lo contestano.

Non voglio parlare della proposta (sintesi: è una puttanata, Stefano Zanero qui spiega bene perché), ma il modo in cui non ha interagito in rete con la comunità.

Questa è l’ennesima eredità di Gianroberto Casaleggio. Una delle critiche più fondate che si facevano al Blog di Grillo degli anni Duemila è che fosse un canale unidirezionale.

Grillo, in realtà Casaleggio, scriveva un post, sotto c’erano i commenti ma Grillo non replicava mai.

La scelta era voluta: Casaleggio non ingaggiava mai, in chiaro, una discussione con qualcuno. Piuttosto, pescava dai commenti quelli che riteneva utili a sostenere le sue tesi o raggiungere i suoi obiettivi e li rilanciava.

Così ha fatto Marattin in questi giorni: non ha mai replicato direttamente agli esperti che contestavano, documentatamente, la sua proposta. Pescava dal mucchio alcune critiche, di sua scelta, senza citare l’autore, e le commentava spesso alterando il senso della contestazione iniziale.

Perché Marattin evita il dialogo?

Questo sistema è molto insidioso: permette a chi lo usa di dare una parvenza d’interesse al dialogo, galvanizzando i follower (all’epoca i lettori del Blog) e di fatto non rispondendo mai nel merito delle questioni. I toni assertivi provocano la reazione di chi non è d’accordo, spesso frustrata che quindi porta chi legge a ritenere non sufficientemente solida la contestazione.

Il veleno di Gianroberto

Non è certo il caso di Stefano Zanero, Fabio Chiusi e altri che hanno puntualmente spiegato e documentato i motivi per cui quella proposta è inutile, dannosa e stupida. Ma è interessante, anzi è preoccupante, registrare come il veleno di Gianroberto sia ormai penetrato in quasi tutte le dinamiche politiche, dalla discussione alle visioni più lunghe.

Spaventati e ipocriti

Negli ultimi giorni sono stati pubblicati un paio di articoli che di realistico hanno poco, ma lasciano trapelare la paura e l’ipocrisia dei parlamentari M5s.

Ilario Lombardo, su La Stampa, riporta una conversazione tra Grillo e Casaleggio. Il comico avrebbe detto all’Erede di prendere in mano il partito. Davide avrebbe rifiutato.

Un articolo di Notizie.it, invece, suggerisce che Rocco Casalino, dipinto come il braccio destro di Casaleggio, starebbe per disarcionare Di Maio dalla guida del Movimento.

Sono ricostruzioni suggestive, ma sembrano più che altro spifferi dal gruppo parlamentare, o meglio da quella parte di gruppo parlamentare che vorrebbe liberarsi di Luigi Di Maio.

Dopo averlo convinto a stringere un accordo per le regionali umbre cercano adesso di attribuirgli l’intera responsabilità della sconfitta.

Né Casaleggio né Casalino, però, hanno l’interesse ad assumersi un incarico di primo piano. Il primo ha soldi e potere a disposizione, un’azienda, interessi che gestisce meglio da padrone che da capo politico.

Il secondo gioca certamente una sua partita, ma è sempre stato più efficace in ruoli di seconda linea – che non vuol dire di secondaria importanza. Ogni occasione di maggior visibilità gli si è ritorta contro.

Che Luigi Di Maio sia in difficoltà è poi tutto da dimostrare: nessuno, anche tra i parlamentari che più lo avversano, è disposto ad anticipare il voto del 2023 pur di liberarsi del capo politico. E, in ogni caso, il cambio della guardia si può fare solo sulla piattaforma Rousseau di Casaleggio.

Di Maio è in realtà nella miglior posizione possibile per organizzare il partito a sua immagine ritagliandosi un ruolo per il prossimo giro di giostra, al quale non si potrà candidare. Almeno se non cambiano le regole, di nuovo.

Il ventriloquo Max Bugani

Max Bugani sarebbe un personaggio irrilevante, esisterebbe solo grazie al fatto che i giornali parlano di lui (cit.). Se non fosse che alcuni anni fa prese il contenuto di una conversazione riservata tra consiglieri del M5s e la consegnò a Gianroberto Casaleggio. Si parlava proprio di Casaleggio – nello specifico si proponeva di limitarne il potere nel partito. Gianroberto gradì molto: scrisse un post sul blog di Grillo, riportando la conversazione coi nomi oscurati. La minaccia, più che vagamente corleonese, funzionò. Quei consiglieri vennero espulsi e Bugani entrò nelle grazie del clan Casaleggio e fece molta carriera, nonostante la sua spiccata tendenza al fallimento.

Da sempre è socio di Davide Casaleggio nell’Associazione Rousseau. Quando parla, sta parlando Casaleggio. Quando assume un incarico, lo assume Casaleggio.

È stato nello staff di Di Maio a Palazzo Chigi e oggi è il capo staff di Virginia Raggi al Campidoglio, dopo aver lasciato il precedente incarico.

Già questo fatto segnala che Via Morone aveva digerito l’accordo con il Partito Democratico solo per convenienza. Questa legislatura può essere salvata, ma c’è bisogno di tempo per preparare la prossima, durante la quale Casaleggio può permettersi un ruolo di minore responsabilità, se non addirittura di opposizione.

Il modello è quello del noleggio dei seggi parlamentari a trecento euro al mese: possono essere 300, 150 o 100, è più importante che il personale politico rimanga di stretta osservanza casaleggiana, mentre adesso il gruppo è tenuto insieme dalla paura del voto, visto che molti non si possono ricandidare o non saranno rieletti.

La scelta di Casaleggio nelle parole di Max Bugani

Infatti, oggi sul Fatto Quotidiano Bugani svela parte della visione di Casaleggio. La sensazione è che sia “finito un ciclo” e che non si possa ripetere quanto fatto in questi quindici anni. Ci vogliono “linee politiche nuove e forti” e una diversa organizzazione perché il capo politico non può “avere su di sé un carico di responsabilità infinite”.

Salva infine Virginia Raggi, un “giocatore da tenere in squadra”.

Secondo Bugani-Casaleggio si “apre comunque una nuova fase”. Vedremo quali saranno le prossime mosse di Milano. Casaleggio è interessato a mantenere il flusso di denaro verso Rousseau a livelli sufficienti per il suo progetto.

Il taglio del parlamentari comporterà in ogni caso un taglio dei fondi e la strategia non potrà che puntare sulle regioni, altro bacino di seggi a pagamento. I prossimi anni potremmo dunque assistere un ripiegamento locale del Movimento, che magari passerà la prossima legislatura all’opposizione o defilato, per prepararsi al giro successivo.

I soldi di Rousseau

Proseguo il commento dei dieci punti che Casaleggio ha bollato come fake news che riguardano la gestione del Movimento. Oggi parliamo dei soldi di Rousseau.

È un argomento decisivo, perché il modo in cui Casaleggio amministra l’associazione la rende, di fatto, la tesoreria e l’unità organizzativa del Movimento 5 Stelle. Infatti, buona parte del bilancio riguarda la gestione degl’iscritti e l’accantonamento per la tutela legale. Nel passato, per dovere di cronaca, questo accantonamento è servito per pagare le multe al Garante della Privacy. Cioè Casaleggio ha usato i soldi che servivano per lo sviluppo della piattaforma, la gestione degl’iscritti, l’organizzazione degli eventi del partito per pagare la propria incapacità di gestire come avrebbe dovuto i dati.

I fondi, ci spiega, arrivano dalle donazioni di “iscritti e portavoce”. Questa è una inesattezza: i portavoce, intesi come i parlamentari, non effettuano “donazioni” ma pagano un servizio commerciale, cioè la piattaforma. Lo dimostra la natura stessa dell’Associazione Rousseau, che ai fini fiscali è considerata un ente commerciale in virtù di questo scambio, servizio per soldi, che non è liberale quindi no può essere considerato una donazione. Rousseau, per quella parte di bilancio, paga infatti l’IVA.

I soldi drenati dal partito verso Rousseau

C’è poi un fatto non indifferente. Parte dei soldi che gli attivisti pensano di donare al Movimento 5 Stelle, che in realtà entrano nelle casse di Rousseau, sono usati da Casaleggio per organizzare i propri eventi. Il famoso gonfiabile a forma di mouse non riporta i loghi del Movimento, ad esempio. Non sono nemmeno iniziative deliberate dagli organi di partito che, di fatto, è stato espropriato della propria capacità finanziaria. Casaleggio deve ringraziare un comma dello statuto, scritto da Luca Lanzalone, che permette a Rousseau di drenare i soldi che dovrebbero essere spesi per l’attività politica.

In questo modo, Casaleggio non solo amministra la piattaforma ma di fatto è la segreteria e la tesoreria del Movimento, che non ha possibilità di organizzare nulla, contattare i propri sostenitori, tenere consultazioni se non con l’assenso del padrone.

La vittoria in Umbria per Di Maio e Casaleggio

Per tenere insieme il gruppo parlamentare, cioè per tutelare il proprio ruolo, Di Maio e Casaleggio hanno accettato di sostenere un candidato insieme al PD in Umbria. Nel commentare la sconfitta del partito dopo il voto di ieri, non si deve scordare la vittoria del gruppo dirigente. Il risultato, infatti, non avrà conseguenze sulla guida del Movimento, anzi.

Sul Blog delle Stelle si parla già di esperimento fallito, inteso come l’accordo col PD “organico”. Il “via libera” era stato dato dal voto sulla piattaforma, scaricando le responsabilità sulla base: questa è l’argomentazione più forte che Di Maio potrà portare in assemblea per mettere a tacere le poche critiche. La responsabilità sarà fatta ricadere su quella parte (molto piccola) del gruppo che, con pontiere Spadafora, da sempre cerca l’accordo col cadavere del PD.

Quegli stessi personaggi, come riporta il Fatto Quotidiano, avrebbero pronta una lettera da inviare a Casaleggio. I poveretti s’illudono che Davide possa essere in qualche modo dispiaciuto del risultato, ma così facendo lo legittimano, una volta di più, nel suo ruolo di proprietario e padrone, dimostrando non essere da soli capaci di aggredire la guida del ministro degli esteri e consolidando lo status quo.

Il Prestanome del Consiglio

Il Partito Democratico persevera nel suo patetico tentativo di romanizzare i barbari, facendosi barbarizzare dal milanese.

Se il tentativo, come pare, è quello di cercare di sbarazzarsi di Casaleggio pensando che Conte abbia una qualche propria personalità politica, o qualche voto, commettono almeno un paio di errori. Il primo è pensare che di Casaleggio ci si possa sbarazzare. Non succederà, o almeno non in questo modo. Il partito è costruito in modo che possa cambiare pelle velocemente, Casaleggio ha dimostrato grande capacità di adattamento. Inoltre, c’è la fila di personale politico pronto per essere speso a livello nazionale che si sta formando silenziosamente nelle istituzioni locali e arriverà in parlamento (magari dopo un giro all’opposizione) più preparato degli attuali dirigenti.

Il secondo è non capire l’origine della popolarità di Conte negli ambienti finanziari e industriali: è Casaleggio che garantisce. La rete di contatti che gli deriva dal proprio business e dalle cene, chissà quanto eleganti, organizzate dall’Associazione Gianroberto Casaleggio, gli hanno consentito di acquisire influenza e garantire per il Prestanome del Consiglio.

Quando cesserà l’esigenza, cesserà questa garanzia. Casaleggio e Di Maio possono ancora dormire sonni tranquilli.

Casaleggio sul Corriere. Parte 4 di 7: le minoranze

Torniamo a commentare la lettera di Davide Casaleggio al Corriere della Sera. Lo faccio perché il Corriere ha deciso di pubblicarla senza commenti, senza controdeduzioni, senza repliche. Gravissimo soprattutto per quanto riguarda il punto che affronto in questo articolo: Casaleggio e le minoranze.

Con il “paradosso del decisore muto” (qualunque cosa voglia dire) Casaleggio butta nel cesso centinaia di anni di evoluzione della società e dei sistemi democratici liberali.

In sintesi sostiene che quando le minoranze perdono hanno certamente torto, non si sono impegnate abbastanza, non era davvero importante la loro posizione.

Un abominio. Secondo questo ragionamento è giusto che ogni diritto che ancora non è riconosciuto non lo sia. Se in una comunità qualcuno è discriminato perché appartenente a una minoranza è colpa sua che non spiega bene le proprie ragioni.

Non sfiora neanche l’anticamera del cervello (che dev’essere comunque poco spaziosa, vista la stanza) che non si possano avere i mezzi, le risorse, la forza di affermare una propria idea. Che spiegare le proprie ragioni non è necessariamente un’operazione semplice o veloce.

Casaleggio fa perfino degli esempi: Trump e la Brexit. Molto interessante perché lui frequenta esponenti di entrambi questi movimenti. A giugno del 2018 incontrava Steve Bannon a Roma. Tre anni prima, nel suo ufficio, Nigel Farage e il suo staff negli uffici di Casaleggio Associati a Milano. Solo che sia Trump che la Brexit, hanno stabilito le inchieste, sono frutto di colossali violazioni della legge, non della incapacità degli avversari di convincere gli elettori.

Davide Casaleggio è un uomo pericoloso. Va fermato.