“Balle Mortali” di Roberto Burioni

Devo parlarvi del nuovo libro di Roberto Burioni. Il virologo dell’ospedale San Raffaele di Milano è noto per la sua opera di divulgazione scientifica iniziata su Facebook quasi per caso.

“Balle Mortali” è un saggio chiaro e rigoroso. È un libro necessario per almeno due motivi che spiegherò più avanti. Racconta una serie, per me straziante, di episodi in cui pazienti che invece di curarsi hanno seguito i profeti del pensiero magico, come lo definisce Piero Angela: santoni e truffatori che si approfittano della fragilità dei pazienti promettendo cure miracolose che, ovviamente, non funzionano mai. O altri che hanno rifiutato l’evidenza della trasmissione di determinate malattie, negandosi le precauzioni che la scienza consiglia e finendo per morire, quando avrebbero potuto vivere.

Ricorda, Burioni, due episodi che riguardano il nostro Paese: la vicenda Di Bella e quella Vannoni. Due casi spaventosamente gravi, che hanno coinvolto la pubblica amministrazione, piegata sotto la spinta dell’opinione pubblica vigliaccamente manipolata, al volere di truffatori che sono riusciti – e a volte ancora riescono – perfino a imporre cure inesistenti a carico del servizio sanitario nazionale.

Credo che questo libro, che segue “Il vaccino non è un’opinione” e “La congiura dei somari”, sia necessario, come dicevo, per due motivi. Primo, cerca di ricordare qual è il pericolo nel contrarre alcune malattie che oggi sono, erroneamente, considerate innocue. Non è certo piacevole ricordare il rischio di ammalarsi gravemente, ma è giusto che si conoscano i rischi che si corrono nell’ascoltare i ciarlatani.

Il secondo motivo attiene più in generale all’opera divulgativa di Burioni. Per qualche motivo per troppo tempo si è trascurata l’importanza della divulgazione scientifica fin dall’infanzia, si è arretrati lasciando terreno ai cialtroni interessanti a spremere soldi a pazienti fragili e spaventati. Può sembrare una sfida impari: dimostrare una verità complessa e spiacevole è chiaramente più difficile che inventarsene una semplice e confortevole. Però l’attenzione di ogni singola persona resta limitata e ogni minuto speso a educarsi è un minuto sottratto all’ignoranza.

Ogni lettore di Burioni è un lettore sottratto a Di Bella ospitato sul sito di Casaleggio LaFucina, fino a qualche anno fa.

Il bias cognitivo di Carlo Calenda

Sabato scorso Carlo Calenda, ex ministro dello Sviluppo Economico, è incappato in un incidente social sul tema dei videogiochi.

In sintesi, ha fatto sapere che in casa sua i “giochi elettronici” non entrano perché sono “una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento“. Vi suggerisco caldamente di leggere, in merito, l’articolo di Nicolò Carboni che, tra le altre cose, ricorda che la percezione di Calenda sia stata smentita ormai da decenni. Al contrario, “spesso il gaming permette la comprensione e la costruzione di rapporti personali complessi, oltre all’allenamento delle funzioni logiche inconsce e superiori. Insomma, si potrebbero passare ore a smentire Calenda citando paper, studi, ricerche, videogiochi più o meno educativi”.

Tralasciando il fatto che Calenda squalifichi il suo passato lavoro di ministro dello Sviluppo, dimostrando di non conoscere uno dei settori industriali più importanti della nostra epoca, soprattutto cade in uno dei bias cognitivi che, da mesi e giustamente, denuncia come causa di buona parte dei problemi della nostra epoca.

Il bias di Calenda è quello esperienziale: si è formato un’opinione su un tema incredibilmente complesso sulla base della propria esperienza – verosimilmente datata – e a quella dei suoi più stretti conoscenti. Peggio ancora, cerca di rafforzare pubblicamente la sua tesi tramite commenti generici di sconosciuti su Twitter.

Confonde l’intero settore dell’industria videoludica con le sue (rare) degenerazioni, di cui peraltro l’industria stessa è a conoscenza tanto che ormai è prassi che i produttori limitino autonomamente il numero di ore giocabili. È come se avesse sostenuto che in casa sua il Chianti non entra perché il vino è una delle cause principali dell’alcolismo. O che sfrecciare con una Maserati a 200 all’ora sulla provinciale è rischioso quanto girare in pista con una 500.

È interessante, e preoccupante, che capiti proprio a Calenda perché, come dicevo, sul problema dell’analfabetismo funzionale e i bias cognitivi ha costruito buona parte della sua “narrazione” recente e parte dell’analisi e delle tesi del suo libro, Orizzonti Selvaggi.

L’infortunio di Calenda ci segnala, pure, quanto sia facile e pericoloso trovare la propria “social comfort zone“: l’effetto Dunning-Kruger evidentemente, si applica anche all’utilizzo dei social. Quando pensi di padroneggiare il mezzo e di capire l’umore del tuo pubblico è il momento di stare più attenti perché sei, probabilmente, nel picco della curva.

Sarà interessante capire se Calenda tornerà sul tema dopo essersi documentato, magari scusandosi per la baggianata, o se dobbiamo rassegnarci tutti a convivere coi nostri limiti e soprattutto con quelli di coloro che si propongono di aiutarci a superarli.

Davide Casaleggio e la balla sulla Rousseau Open Academy

Se c’è un tratto della personalità che Davide Casaleggio condivide col defunto padre Gianroberto è un imbarazzante complesso d’inferiorità. Dello stesso tipo che ha portato Rocco Casalino e il premier Conte, per intenderci, a gonfiare i propri curricula.

È un vizietto abbastanza diffuso, ma in questo caso c’è una curiosa novità: il curriculum gonfiato non è quello di una persona ma quello di un’associazione: Rousseau.

L’Associazione Rousseau è stata fondata da Davide e Gianroberto Casaleggio pochi giorni prima della morte di quest’ultimo. Davide, in seguito, vi ha fatto confluire tutte le attività legate al Movimento 5 Stelle che prima erano in capo alla sua azienda, Casaleggio Associati. In base al nuovo statuto del partito, scritto nel 2017 da Luca Lanzalone, Casaleggio può raccogliere donazioni per la sua associazione dai simpatizzanti del Movimento e dagli stessi parlamentari che, da regolamento, sono tenuti a contribuire con 300 euro al mese. In cinque anni sono circa 9 milioni di euro. Con questi soldi, Casaleggio dovrebbe sviluppare l’omonima piattaforma di voto e partecipazione, quella ciofeca (copyright Nicola Biondo) che viene sfondata ogni sei mesi, e gestire il Blog delle Stelle.

Oltre a questo, però, Casaleggio svolge altre attività: di recente, del tutto autonomamente e senza che ci fosse una specifica delibera del partito, è stata avviata la cosiddetta “Rousseau Open Academy“. A differenza della piattaforma Rousseau, questa iniziativa non è direttamente collegata al Movimento e il suo sito non è ospitato sul dominio movimento5stelle.it.

Cosa debba essere questa “Academy” non è chiarissimo. Il sito contiene alcuni “corsi” sostenuti da parlamentari del Movimento, alcuni video promozionali e, soprattutto, un passaggio molto particolare nella pagina “Il progetto ROA” di cui metto il link all’archivio, in caso dovessero modificarne il contenuto.

La frase è la seguente: “Abbiamo già aderito a un manifesto sulla cittadinanza digitale, promosso da importanti realtà accademiche – come l’MIT e l’Università di San Paolo del  Brasile”.

È una balla. Una balla che Casaleggio ripete spesso, l’ultima volta a Italia 5 Stelle. Sui siti di queste Università non c’è alcuna traccia di questo manifesto. L’unica cosa che si trova in Rete è un sito di scarsissima qualità, che non riporta i loghi delle università e non sostiene che queste supportino il manifesto.

Sul sito, e sui documenti PDF, anch’essi senza logo né intestazione, non compare alcun riferimento a questi istituti, se non nei rispettivi titoli dei firmatari. Quello del MIT, peraltro, tal Cosimo Accoto, è un Research Affiliate, non organico all’Università né da essa stipendiato.

Quanto ci metteranno i parlamentari e i simpatizzanti del Movimento a capire che forse c’è qualcosa da chiarire nel modo in cui Casaleggio, del tutto autonomamente e senza precise indicazioni, gestisce i loro soldi?

Bonafede e la legge Polaroid salva Casaleggio

Fate attenzione, le prossime settimane, al dibattito sulla legge anticorruzione perché ci sarà di che discutere.

La scorsa settimana Salvini ha fatto sapere che non gli piace l’articolo sul finanziamento ai partiti, il numero nove. Ciò che succederà potrebbe dire molto più di quanto sembri sullo stato di salute dell’accordo di governo.

Ho già spiegato perché, secondo me, la legislatura arriverà a scadenza naturale nel 2023. Questo non vuol dire che, nel corso di questi anni, non ci possano essere scontri su singoli provvedimenti o, come in questo caso, pretesti per lanciare messaggi che capiamo in tre o quattro, ma ora anche voi lettori.

Cosa dice l’articolo 9 della legge anticorruzione? Forse qualcuno tra di voi ricorderà la legge Mammì che regolamentò il settore radiotelevisivo: quella norma fu chiamata “legge Polaroid” perché invece di regolamentare un settore dominato, nel privato, da Fininvest fotografò lo status quo dell’epoca rendendo legale, per i decenni a venire, il duopolio televisivo che ha drogato il settore in Italia fino a pochi anni fa.

Come fa correttamente notare Nicola Biondo, siamo nella stessa situazione: la legge “spazza corrotti”, come l’hanno chiamata, rende di fatto legittima il sistema Casaleggio, che controlla di fatto il partito grazie allo Statuto del M5s scritto da Luca Lanzalone. Davide Casaleggio, tramite l’Associazione Rousseau, raccoglie milioni di euro dai parlamentari e dagli attivisti del Movimento per sviluppare la piattaforma Rousseau, ma pure per organizzare sue iniziative, di cui abbiamo parlato pochi giorni fa, mai deliberate dal partito.

Il modo con cui Casaleggio amministra l’associazione Rousseau è problematico: non a tutti, tra i parlamentari, è chiaro a quale titolo Casaleggio si occupi dei loro processi democratici e, soprattutto, di gestire tutti quei denari. La legge nulla dice sulla necessità di svelare l’identità dei donatori, così “per ragioni di privacy”, vengono tenuti nascosti. Insomma, c’è il rischio che qualcuno nel Movimento si metta a questionare il ruolo dell’Erede o pensi di creare strutture parallele. È qui che, in soccorso di Casaleggio e Rousseau, arriva il ministro Bonafede:

  1. “sono equiparate ai partiti e movimenti politici le fondazioni, le associazioni e i comitati la composizione dei cui organi direttivi sia determinata in tutto o in parte da deliberazioni di partiti o movimenti politici ovvero che abbiano come scopo sociale l’elaborazione di politiche pubbliche”, come Rousseau, presente nello Statuto del M5s;
  2. l’identità dei donatori sarà tutelata per versamenti fino a 500 euro invece di 5000, salvi i supporter del Movimento che per la maggior parte versano somme inferiori a quella cifra;
  3. comma Rousseau: “Un partito o movimento politico può essere collegato ad una sola fondazione o ad una associazione“, blindata Rousseau;
  4. comma Casaleggio: “I partiti o movimenti politici e le fondazioni, associazioni o comitati ad essi collegati devono garantire la separazione e la reciproca indipendenza tra le strutture direttive”, blindato Casaleggio.

Ecco la nuova legge Polaroid salva Casaleggio che tenta di fotografare e cristallizzare il Sistema Casaleggio. Una norma che, con la scusa di regolamentare il finanziamento ai partiti, legittima una costruzione immaginata dal padre Gianroberto e divenuta reale sotto il regno del figlio Davide, portatore di interessi e di un’agenda sempre più predominante rispetto alla linea politica decisa dai gruppi parlamentari.

Gregorio De Falco e la merda nel ventilatore

È partita la macchina del fango a danno del senatore Gregorio De Falco. Èd è fuoco amico, che parte da un cecchino molto vicino a Di Maio e Davide Casaleggio.

Quando Gianroberto Casaleggio amministrava il Blog di Beppe Grillo, se un eletto del M5s cominciava a dare “segni di cedimento” mettendo a rischio “la testuggine romana”, per usare le parole di Luigi Di Maio, la reazione era tanto semplice quanto spietata. Si scriveva un post, o più spesso un PS, per insultare o dileggiare l’interessata o l’interessato. Accadde con Federica Salsi, rea di aver partecipato a una trasmissione televisiva (!); accadde a Valentino Tavolazzi, accusato di voler organizzare una riunione (!); accadde, molto rumorosamente, a Giovanni Favia reo di aver parlato male del capo con un giornalista (!).

In particolare con Favia fu sperimentata una tecnica a quel tempo “innovativa”: fu fatto scrivere da un giornalista tirapiedi un articolo, poi pubblicato sul Blog, in cui s’insinuava che il fuori onda durante il quale Favia commentava l’operato di Casaleggio fosse concordato. Circostanza del tutto falsa, ma il messaggio passò nella comunità del Blog ed espellere Favia, settimane dopo, fu, per i garanti, molto più semplice di quanto potesse sembrare inizialmente.

Che si fa oggi quando un parlamentare del M5s mette a rischio la credibilità del capo? Cosa succede se il Senatore De Falco, scelto personalmente da Luigi Di Maio dà segni d’insofferenza e si permette di criticare la linea del governo?

De Falco ha di recente espresso contrarietà ad alcune norme del decreto sicurezza, lamentandosi della richiesta di ritirare gli emendamenti, annunciando voto contrario a meno che non sia posta la questione di fiducia. Per intenderci: non vuole mettere in crisi il governo, ma non è disposto a rinunciare alle sue prerogative di senatore. Ho già espresso la mia opinione in merito ai nuovi “dissidenti“, non mi ripeterò qui, ma potete leggere l’articolo della scorsa settimana.

Ma qualcosa è successo, nel sottobosco della comunicazione parallela legata, in maniera più o meno evidente e più o meno stretta, a Di Maio e al Sistema Casaleggio. È apparso un articolo sul sito Silenzi e Falsità del tutto simile, per struttura e contenuti, a quello che fu pubblicato per la character assassination di Giovanni Favia. Si ricorda il passato pubblico di De Falco (“…salga a bordo, cazzo!”) sostenendo che fosse una recita. Lo si accusa di essere un infiltrato di Repubblica. Insomma, lo si addita come sabotatore. Qual è il fatto interessante? Che il sito Silenzi e Falsità è di proprietà di Marcello Dettori, fratello di Pietro il quale è consigliere di Di Maio e socio di Davide Casaleggio nell’Associazione Rousseau.

Un pezzo di Sistema che si muove tempestivamente, probabilmente senza nemmeno necessità di coordinamento. Come le formiche descritte da Davide Casaleggio nel suo libro Tu Sei Rete.

Grazie a Lucio Di Gaetano per la segnalazione.

M5s: le grandi opere si faranno tutte

Sono abbastanza convinto che le grandi opere, col Movimento 5 Stelle, si faranno tutte. TAP, MUOS, TAV, Brennero. Me ne sono convinto soprattutto dopo la gestione del dossier sul gasdotto, approvato settimana scorsa dal Governo Conte: quella vicenda è illuminante sotto molti aspetti.

Se avete la pazienza di seguirmi, bisogna partire dall’idea che Gianroberto Casaleggio aveva del Movimento: come abbiamo spiegato in Supernova io e Nicola Biondo, Casaleggio intendeva federare le realtà locali già esistenti, sia le esperienze politiche, le liste civiche, che quelle dei comitati di protesta. Pochi lo ricordano, ma per la versione “beta” del Movimento il Blog di Grillo invitava liste locali anche già formate, non necessariamente con la faccia di Grillo nel contrassegno, a inviare la documentazione (programma, casellari giudiziari dei candidati) per ottenere la bollinatura ed essere sponsorizzate dal Blog. Il progetto fu abbandonato quasi subito a causa dei conflitti, inevitabili, tra le liste già esistenti e quelle formate dai MeetUp, che pretendevano un diritto di prelazione.

Sul fronte dei comitati, invece, la speranza di Roberto era la contaminazione: avrebbe voluto che le liste civiche fossero formate dagli stessi leader dei movimenti di protesta, non diventare i nuovi referenti politici. La motivazione è piuttosto scontata: se fossero stati parte integrante del Movimento non ci sarebbe stato il rischio che, per qualche motivo, ce li si ritrovasse contro prima o poi. Casaleggio voleva fornire una piattaforma comune che ciascuna realtà potesse utilizzare per veicolare la propria battaglia, inglobando nella sua creatura il consenso che i NoTav, no Muos, no Mose, no Tap avevano già faticosamente raccolto. Questo concetto venne ingenuamente spiegato da Roberta Lombardi nella celeberrima diretta con Bersani: “siamo noi le parti sociali“. Come alcuni candidati raccontarono, in quei primi anni si tenevano in Casaleggio Associati alcuni incontri preparatori alla campagna elettorale durante i quali Davide Casaleggio invitava a non considerare alleanze con i Verdi perché “siamo noi i Verdi“.

In alcuni casi questa operazione è in parte riuscita: in Piemonte, ad esempio, molti degli eletti locali e nazionali arrivano dall’esperienza No Tav. La saldatura, però, è in generale fallita e l’attuale dirigenza, quella che ha scalato il Movimento, non viene da nessuna di queste realtà ed esperienze. Di Maio, Toninelli, Lezzi non erano attivisti di alcuna di queste proteste; il M5s è diventato ciò che Gianroberto voleva evitare: solo l’ennesimo referente politico al quale possono essere voltate le spalle nel momento in cui non mantiene le promesse.

L’approvazione del gasdotto TAP dimostra benissimo quanto spiegato e ci aiuta a capire cosa succederà in futuro: lo schema è semplicemente replicabile. Si avvia una verifica costi-benefici della promessa, si appura che l’opera non si può fermare per i costi elevati, il presidente del Consiglio, sconosciuto prima del voto, non vincolato da un incarico elettivo, si assume la responsabilità della scelta. Ai Di Maio, Toninelli, Lezzi non importa nulla della Val Susa, del Salento, del Brennero o della concessione ai Benetton: sono ben felici di rivendicare i meriti delle battaglie combattute da altri quanto di allontanare da sé la responsabilità delle promesse tradite.

Bene fa il comitato anti Muos a preoccuparsi: nella maggior parte dei casi le grandi opere sono inserite in contesti molto più grandi e complessi dei piccoli interessi elettorali di un ministro o un parlamentare, come spiega ad esempio Nicolò Carboni sulla vicenda TAP.

Accadrà di nuovo, per ogni singolo dossier aperto.

Il nuovo giochino dei dissidenti

Segnatevi la frase “principi originari del Movimento“: è quello il segnale.

Quando un parlamentare viene additato come “dissidente” e pronuncia quella frase ha già deciso che il M5s non è più la sua casa e vuole alzare la posta per evitare di complicare la vita di Di Maio e Rocco Casalino.

Quella frase è un segnale ed è la criptonite dei dirigenti: Casaleggio, Grillo, Di Maio, Casalino. Lo è perché è chiaro ed evidente che il partito non c’entra nulla col il Movimento del 2009, quando ancora non erano stati capiti (nemmeno dal sottoscritto) la natura e i propositi dei Casaleggio; lo è perché quella frase ricorda le precedenti esperienze coi “dissidenti” da Valentino Tavolazzi (espulso con un ps. sul Blog nel 2012), tutte dolorose, ciascuna più devastante della precedente.

Se qualche anno fa il tentativo di coloro ai quali la gestione del partito era diventata stretta era quello di provocare uno scossone e cercare di rimettere la comunità in carreggiata, oggi non esiste proprio più la comunità. Gli attivisti, come scrive Nicola Biondo nel nostro Supernova, sono stati rimpiazzati dai fan delle pagine Facebook dei parlamentari. Non c’è alcuna possibilità di contribuire alla linea politica decisa da Di Maio e Casaleggio, che governano il M5s grazie a uno Statuto, scritto da Luca Lanzalone, che attribuisce ogni potere al capo politico e l’amministrazione dei processi democratici (o almeno della loro facciata) e dei finanziamenti di attivisti e parlamentari all’associazione Rousseau.

Sono anche cambiate le condizioni: il M5s oggi è al governo e Di Maio, che sullo scambio di cortesie ha costruito la sua scalata al Movimento, ha molto più da offrire rispetto a quando era vicepresidente della Camera. I “dissidenti” hanno ben poco da guadagnare nell’abbandonare il Movimento, ma molto più di prima nel piantare grane, soprattutto i parlamentari di prima nomina, che matureranno il diritto alla pensione nel 2022 e quelli al secondo mandato che non hanno ottenuto incarichi particolarmente prestigiosi.

Il che non significa, ovviamente, che non ci saranno espulsioni o defezioni: è possibile che questo accada. Saranno solo molto più lunghe le trattative per limitare i danni d’immagine al partito.

Lanzalone rischia il processo, Casaleggio rischia l’insonnia

Ieri la Procura di Roma ha chiuso le indagini sulla vicenda dell stadio della Roma. Ricordate la campagna sui social con tanto di hashtag su Twitter #unostadiofattobene? Pochi mesi dopo l’accordo, le forze dell’ordine si sono cimentate in #unaretatafattabenissimo e hanno arrestato alcune persone che avevano, secondo l’accusa, operato in maniera illegittima per assicurarsi il via libera dell’opera.

Luca Parnasi, il costruttore, ma anche e soprattutto Luca Lanzalone, che avrebbe aiutato la sindaca Raggi a trovare la quadra senza però un incarico formale. Sempre secondo l’accusa, Lanzalone avrebbe “ottenuto la presidenza di Acea in cambio della propria opera” scrive Repubblica.

Anche Lanzalone, quindi, rischia il processo e questo potrebbe provocare un terremoto con epicentro le fondamenta del Movimento 5 Stelle, ossia il Sistema Casaleggio.

Luca Lanzalone, infatti, è una vecchia conoscenza dei 5 Stelle: già consulente del comune di Livorno, di lui la sindaca Raggi avrebbe detto “me l’ha imposto Casaleggio“. Chissà se sia così. In ogni caso, una cosa è certa: a Luca Lanzalone, Davide Casaleggio dev’essere molto grato, essendo l’estensore del nuovo Statuto del Movimento 5 Stelle, quello della nuova associazione del 2017. Perché dev’essergli grato? Perché il nuovo statuo del partito blinda l’Associazione Rousseau, fondata e presieduta da Casaleggio, come unico fornitore per la comunicazione – il Blog delle Stelle – e la piattaforma decisionale Rousseau, tecnicamente poco più che un giochetto fatto male, pericoloso per la privacy degli utenti iscritti. Soprattutto, in virtù di ciò, l’Associazione Rousseau è autorizzata a sfruttare il marchio del Movimento per raccogliere le donazioni degli iscritti e il contributo dei Parlamentari, 300 euro al mese, per un totale che si aggira intorno ai 9 milioni di euro in cinque anni. Con questi soldi, Casaleggio dovrebbe sviluppare la piattaforma e occuparsi del Blog ma in realtà ha avviato iniziative parallele, scollegate dal Movimento, come la Rousseau Open Academy mai deliberata da nessun organo di partito.

Casaleggio è così potente che ieri la senatrice Fattori ha rivelato che i parlamentari non stanno restituendo in maniera sistematica parte dello stipendio, come si erano impegnati a fare, salvo proprio i 300 euro a Casaleggio.

Se come “premio” (questo il termine usato da Di Maio) per il suo aiuto con Livorno e lo Stadio della Roma Lanzalone ha ottenuto la presidenza Acea, è lecito chiedersi se abbia ricevuto altri benefici in cambio dello statuto che permette a Casaleggio di maneggiare così tanti denari in maniera completamente autonoma.

Del resto, Lanzalone il giorno prima del suo arresto era alla cena di finanziamento organizzata dall’Associazione Gianroberto Casaleggio, sempre presieduta dal figlio Davide, il quale inizialmente cercò di annebbiare le ricostruzioni dicendo che fosse stato “a una cena e a un altro tavolo c’era Lanzalone“.

Com’è noto, però, le cene di finanziamento dell’Associazione Casaleggio sono a invito e costano tanto: evidentemente Lanzalone teneva molto a esserci.

Segnalate Marione!

La scorsa settimana Twitter ha sospeso l’account di Mario Improta, conosciuto come Marione. Improta è noto per i suoi disegnini violenti che traducono in grafica la propaganda di estrema destra oggi al governo: sovranismo, antieuropeismo, insulti sessisti alle solite vittime di questi vigliacchi come Laura Boldrini, Elsa Fornero, Maria Elena Boschi e così via.

Purtroppo Marione aveva il vizio di insultare senza pietà chiunque gli facesse notare che la satira governativa era un tantino una contraddizione in termini, chi non fosse allineato coi suoi ministri del cuore o semplicemente chi sollevasse critiche di tipo estetico ai suoi disegnini.

Il suo modo di interloquire era talmente imbarazzante e impresentabile perfino per il Movimento 5 Stelle che gli ha negato non la candidatura ma proprio la possibilità di partecipare alle parlamentarie: Marione aveva infatti tentato di capitalizzare i quasi 20.000 follower su twitter in una candidatura parlamentare, ma il filtro dello Staff di Di Maio e Casaleggio gli aveva chiuso la porta.

Ciononostante, Improta è rimasto fedele alla Causa e ha continuato a disegnare propaganda senza sosta. Fino, appunto, alla scorsa settimana quando dopo decine e decine di segnalazioni, Twitter ha riscontrato una violazione dei termini di utilizzo della piattaforma e ha sospeso il suo account.

Ovviamente ne è stato aperto uno nuovo, MarioneSospeso, che conta al momento in cui scrivo meno della metà dei follower del precedente.

Sabato scorso, mi sono permesso di segnalare su Twitter la sospensione e il nuovo account, su cui Marione ha caricato le stesse vignette e ha ripreso con gli insulti. Ovviamente ne sono arrivati anche a me, ma non è questo il tema.

Quello che vorrei sottolineare con questo post è che le segnalazioni alle piattaforme social per comportamento scorretto servono. Sì, a volte le risposte arrivano con ritardo e a volte commettono evidenti errori, come la sospensione di Mario Seminerio sempre da Twitter, corretti però abbastanza velocemente. Ma servono. Il nuovo account di Marione non sta recuperando velocemente i seguaci perduti e, soprattutto, i toni che usa sono molto, molto più docili di prima, temendo una nuova sospensione.

Tuttavia, ci sono ancora contenuti improponibili e inaccettabili, come la vignetta in cui si invita Marcello Foa a “derattizzare” la Rai oppure la richiesta ai propri utenti di compilare liste di proscrizione. E a volte gli scappa ancora qualche minaccia di lesioni fisiche agli interlocutori. Però, nel complesso, sembra diventato un agnellino.

Quindi, come ho già fatto, torno a invitarvi a cercare e segnalare i contenuti inappropriati del nuovo utente di Marione (@MarioneSospeso) e, in generale, di utilizzare lo strumento della segnalazione sulle piattaforme per tutti i contenuti in palese violazione dei termini di utilizzo e del vivere civile.

La democrazia diretta è un pacco

Sta succedendo qualcosa che Di Maio e compagni si aspettavano, ma probabilmente non così in fretta e non così violentemente: cominciano ad avere difficoltà a presentarsi sui territori cui hanno promesso di cambiare tutto, senza poi cambiare niente.

Ormai è uno schema: a Taranto, avevano promesso di riconvertire l’ILVA e invece hanno confermato sostanzialmente gli accordi dei precedenti esecutivi; in Salento il governo Conte ha stabilito che non ha intenzione di fermare il gasdotto TAP per evitare la certezza di sanzioni e, ieri, i comitati hanno bruciato – gesto inquietante e irricevibile – una bandiera del Movimento 5 Stelle; a Roma l’esasperazione ha portato in piazza del Campidoglio migliaia di persone, senza bandiere di partito.

Proprio a Roma il Movimento ha cominciato a perdere la testa: il sindaco Raggi ha risposto alle proteste con un post molto arrogante sostenendo che fosse una manifestazione del Partito Democratico mascherata.

A seguire, il presidente del Consiglio Conte ha dichiarato, con riferimento al TAP, che “chi nega il rischio di sanzioni non sa le cose“.

Oggi, Luigi Di Maio arriva a minacciare i compagni, o meglio i sottoposti, di partito per i “cedimenti” nella fede che inizia a vedere.

Presto si dovrà prendere una decisione anche sul TAV in Val di Susa da dove già settimane fa erano arrivati segnali d’insofferenza.

Da questi episodi, a cui se ne aggiungeranno certamente decine di altri, possiamo capire un fatto che mina la stessa ragione sociale del Movimento: la disintermediazione. La retorica della democrazia diretta e partecipata grazie alla quale il M5s ha raccolto il 32% dei voti alle scorse elezioni promuove il rifiuto dell’analisi di situazioni complesse: si richiede il voto promettendo di eseguire ordini, non di prendere decisioni.

La differenza è fondamentale. Dimostrare di essere in grado di trovare il miglior compromesso per governare problemi complicati dominati da centinaia di variabili, e su questa base chiedere il voto, è un lavoro lungo e difficile. Ottenere consenso promettendo la propria sottomissione al volere dell’elettore è più facile, per evidenti motivi. Però, più si allarga il bacino elettorale più la menzogna diventa indispensabile: più elettori prometti di accontentare, meno diventa probabile riuscire a farlo per via delle contraddizioni che, inevitabilmente, sorgono.

A Taranto, non si possono promettere ad un tempo posti di lavoro e chiusura dell’ILVA, per dirne una.

Il Movimento 5 Stelle ha sempre raccolto consensi promettendo di accontentare comitati locali e urlatori assortiti invece di porsi come interlocutore credibile per trovare un compromesso accettabile, ma se guardiamo la storia degli ultimi dieci anni di “battaglie” del Blog di Grillo e del M5s questa strategia non ha portato a nulla. Niente stop alla base militare di Aviano. Niente stop al MUOS in Sicilia. Niente stop al quartiere Milano City Life. Niente stop al passante di Mestre. Niente risanamento del Comune di Roma. Niente. Niente. Niente.

L’unica cosa che, dopo dieci anni, è possibile affermare con certezza sulla base dei risultati concreti è che la democrazia diretta di Casaleggio è un pacco.