Non so come finirà la pantomima del decreto fiscale e della finanziaria ma riconosco lo schema e le paranoie che stanno guidando le scelte politiche e comunicative di Luigi Di Maio.
Sono le stesse incapacità e paranoie che aveva Gianroberto Casaleggio infuse fin dal principio nella sua creatura politica, nella sua macchina comunicativa.
La paranoia degli infiltrati, la cultura del sospetto, il timore del sabotaggio; e la totale incapacità di trattare, mediare, confrontare le posizioni per giungere a un compromesso.
Casaleggio, afflitto da un ciclopico complesso d’inferiorità, pur essendo colto e intelligente, non ammetteva, non concepiva che qualcuno potesse giungere a conclusioni diverse dalla sua avendo a disposizione gli stessi elementi da valutare. Rifiutava la possibilità di ammettere un errore. Quando colto in fallo, quando minacciato da eventi non previsti, la sua reazione era spesso scomposta: espulsioni, divieti, i famigerati “Ps.” in fondo ai post del blog di Beppe Grillo.
Con lui non si poteva trattare, non era in grado di trattare, non voleva cercare compromessi.
Questo clima lugubre di terrore ha sempre aleggiato nei gruppi parlamentari del Movimento e, ora, domina gli animi di ministri e sottosegretari con l’ansia da prestazione governativa.
Incapace di trovare soluzioni, Casaleggio si rifugiava nella comunicazione: era irrilevante la conseguenza di una decisione, l’obiettivo era comunicare il messaggio.
Questo è la chiave per decifrare quel che sta succedendo in questi giorni, soprattutto in vista di “Italia 5 Stelle”, l’incontro nazionale in programma a Roma il prossimo weekend: i nodi si scioglieranno nel modo migliore possibile funzionale alla comunicazione all’elettorato che i parlamentari incontreranno fra pochi giorni.