Quel giorno che la Russia invase l’Italia

La propaganda e noi


di Nicola Biondo e Marco Canestrari


Segnatevi questa data, sabato 29 ottobre 2016.

Quel giorno la macchina della propaganda russa tentò un esperimento di manipolazione mediatica senza precedenti in Italia e in Occidente.

Ai giornalisti moscoviti di Russia Today — TV finanziata dal Cremlino amata dal Presidente Rai designato Marcello Foa — venne ordinato di contrabbandare una manifestazione del Pd a favore del Sì al referendum come una ribellione contro il capo del governo Renzi.

Titolo della diretta Facebook: «Proteste in Italia contro il premier». Diffondendo una versione completamente opposta della realtà, la diretta web raggiunse un milione e mezzo di contatti e da qui tracimò sui social italiani soprattutto di fede grillina.

Il Russia-gate americano non era ancora scoppiato e pochissimi fecero caso alla vicenda.

Quella fu la prova generale. Russia Today mise in piedi altrove analoghe operazioni. In Francia contro il candidato Macron: fu insinuato che fosse gay e nascondesse un amante.

Operazioni che porteranno Google a de-indicizzare questi e altri articoli dalle sue news per l’utilizzo di messaggi “ripetitivi, falsi e strumentalizzabili”.

Ma è tardi: la questione dell’influenza russa in Italia ha prodotto un livello di polarizzazione tale da indurre a chiedersi se non fosse proprio questo — più che l’influenza diretta sui processi democratici — l’obiettivo del regime di Putin.

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Prendiamo l’ultimo episodio, la campagna contro il presidente Mattarella fomentata dal Movimento 5 Stelle. Gli osservatori sono divisi tra chi definisce ridicole le ipotesi di interferenza russa e altri che hanno interpretato le poche informazioni disponibili come la prova di tale ingerenza. In realtà quei dati nulla ci possono dire sull’esistenza o l’efficacia di “operazioni” di Mosca nel nostro Paese.

Eppure il tema va affrontato in fretta e con serietà: basta elencare i fatti accertati, come quello che abbiamo raccontato, per rilevare che la Russia mette in atto strategie di propaganda che influenzano l’opinione pubblica, come Al Quaeda e ISIS quando ci terrorizzavano coi filmati dei combattenti diffusi su Internet.

Che questo avvenga è lapalissiano: senza scomodare reti di account falsi su Twitter e Facebook, il Cremlino finanzia organi di stampa online e televisivi anche in lingua italiana, come RT e Sputnik. Iniziative editoriali che, tra le altre cose, alimentano l’immagine di Putin come “uomo forte”, distorcono le notizie su temi di interesse russo — come l’annessione illegale della Crimea -, pubblicano perfino notizie false sulle nostre vicende domestiche. È il metodo usato anche dai Casaleggio sul Blog di Grillo nel 2016: foto di una piazza gremita per il Papa con una didascalia ad effetto, “MAREA UMANA IN PIAZZA, LA GENTE NON NE PUÒ PIÙ’. PARTE LA RIVOLTA”.

Mosca ritiene sia proprio interesse finanziare pubblicazioni propagandistiche in occidente: gli esperti di diplomazia internazionale e geopolitica, immaginiamo, si saranno chiesti perché.

Noi ci interroghiamo sul metodo. Il rapporto “Infosfera” presentato a luglio dal Centro Studi Democrazie Digitali ha indagato la dieta informativa degli italiani con risultati inquietanti tanto che nella sua introduzione avverte che “ignorare la denuncia della sistematica manipolazione dell’opinione pubblica significherebbe […] nascondere la testa nella sabbia perché il pericolo si avvicina”.

Viviamo in uno stato di costante esposizione alle notizie e di continua relazione e interazione: un “sovraccarico informativo” che stressa ogni istante la nostra attenzione.

Questo “information overload” è uno dei motivi per cui si possono ingannare le persone sull’affidabilità di fonti e notizie: per “difenderci” cediamo alla comodità di considerare affidabili i nostri amici e parenti, la tv e i giornali. Un contenuto diffuso da un conoscente, un profilo Twitter certificato, un sito o una pagina Facebook ben curati sono spesso considerati affidabili a prescindere, secondo i dati del report. Siamo talmente bombardati di notizie che ne basta una ben presentata che il nostro subconscio la classifica come credibile anche se falsa.

Questo fenomeno riguarda anche i professionisti della comunicazione.
I tweet contro Mattarella avrebbero raggiunto poche migliaia di utenti se i media non ne avessero parlato, ma quel social è molto frequentato da giornalisti e opinion maker che hanno esportato il dibattito fuori dalla piattaforma. Possiamo dedurne che per influenzare l’opinione pubblica basterebbe orientare il dibattito degli individui più influenti i quali, in questo momento storico, frequentano per lo più Twitter. I tweet non vanno “contati” ma “pesati”: sono bastate un paio di attività “sospette” sui tre milioni di record pubblicati un mese fa per sollevare il polverone e influenzare l’opinione pubblica.

In Italia, ad aggravare la situazione, abbiamo i nostri “utili idioti”: aziende che hanno rilanciato propaganda di RT e Sputnik perché redditizia e giornalisti influenti che, rifiutando luddisticamente i nuovi strumenti di comunicazione, non ne comprendono le dinamiche e ridicolizzano chi invece, seppur con errori ed eccessi, tenta almeno di studiarle.

Proprio dal giornalismo, invece, dovrebbe partire la ricerca della soluzione di un problema talmente vasto che sta già mettendo a rischio la tenuta dei nostri sistemi democratici.


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