Perché il MoVimento minimizza così sfacciatamente i guai giudiziari di Virginia Raggi? Perché Raggi è legata a doppio filo a Luigi Di Maio: per lei si è speso senza riserve fuori e dentro il partito, prima e dopo le elezioni.
Per lei, ma anche per lui, com’è noto, sono già state applicate impensabili deroghe allo Statuto che, teoricamente, vieta di candidare indagati e impone loro le dimissioni qualora si fosse già in carica.
L’altro grande sponsor di Raggi è Luigi Di Maio. Nella notte della vittoria, a seguirla come un’ombra è il suo capo staff Vincenzo Spadafora: Raggi in pochi giorni piazza come assessori al Campidoglio due suoi stretti ex collaboratori. Per Luigi il successo di Raggi è anche il suo trampolino di lancio verso Palazzo Chigi.
È a Luigi che Raggi si rivolge nei momenti più critici: è su di lui che si è appoggiata per difendere sia Muraro che Marra, lo ha convinto a proteggerla mentre mollava il tecnico Minenna, l’ha aiutata nel puntellare la sua disastrosa immagine.
Per lei sono stati cambiati i parametri morali del MoVimento: mentre prima qualcuno diceva che “ai politici non va applicata la presunzione di innocenza… Per me se c’è un dubbio non c’è alcun dubbio”, oggi che è indagata per abuso d’ufficio (il 28 settembre 2017 è stata chiesta l’archiviazione per questo reato e il rinvio a giudizio per falso, nda) il MoVimento ha inaugurato il garantismo a due velocità: veloce e spietato con gli avversari, dolce e pieno di riguardi con i suoi esponenti. E su di lei è stato disegnato un “nuovo codice morale” che fa entrare il MoVimento nel club dei partiti. Nonostante le grane giudiziarie, e le evidenti colpe politiche, non si deve dimettere.