Vincitori e vinti

La notizia è che Farage non ha bisogno di Grillo per mantenere in piedi il suo gruppo parlamentare, ma è anzi il Movimento che ha tutto da perdere.

Partiamo da qui per spiegare perché Davide Casaleggio, Filippo Pittarello e Beppe Grillo hanno dovuto tornare con la coda tra le gambe da Farage per chiedere scusa e implorare di restare nel suo gruppo Parlamentare.

Nigel Farage

Adesso i rapporti di forza tra Grillo e Farage non sono più quelli di inizio legislatura, quando ciascuno aveva bisogno dell’altro. Farage, infatti, in questi due anni e mezzo si è tutelato e ha cooptato un numero sufficiente di parlamentari (devono essere almeno 25 da 7 stati membri diversi, ora sono 44 da 8 paesi) per poter fare a meno dei 17 del Movimento.

E’ questo il dato per capire chi vince e chi perde da questo passaggio determinante per il futuro del Movimento anche in Italia.

Oltre all’evidente danno di immagine, dai fatti degli ultimi giorni esce un solo vincitore, Davide Casaleggio, e un capro espiatorio, Filippo Pittarello, ex responsabile della comunicazione ora sostituito da Cristina Belotti.

Pittarello viene così “lasciato indietro”, sacrificato sull’altare dei soldi e della fedeltà alla dirigenza.

Per spiegare come, facciamo un passo indietro e ripercorriamo i fatti.

Negli ambienti di Bruxelles, era noto da circa un anno che il Movimento e Farage erano “ai ferri cortissimi”. Dopo la Brexit, David Borrelli e Filippo Pittarello cominciano a sondare il terreno per trovare nuovi partner.

Borrelli e Pittarello non sono persone qualunque: Borrelli, europarlamentare, è copresidente con Nigel Farage del gruppo a cui appartiene il Movimento. E’ il primo, inoltre, per il quale viene violata una regola importante del Movimento: si era candidato alla presidenza della Regione Veneto quando ancora era consigliere comunale di Treviso, senza essere sanzionato e, anzi, col diretto benestare di Gianroberto Casaleggio. E’ anche uomo di fiducia di Davide, suo socio nell’Associazione Rousseau, quella che gestisce i dati e il portale del M5s.

Filippo Pittarello, già dipendente di Casaleggio Associati e uomo ombra di Grillo nelle tournée teatrali, è il suo uomo di fiducia: quasi conterranei (Pittarello è di Padova), va a Bruxelles su precisa volontà di Gianroberto per sostituire Messora, ma sarà inizialmente assistente parlamentare proprio di Borrelli.

Dopo il rifiuto di tutti i gruppi papabili, compresi Verdi e Comunisti, trovano nell’ALDE, in particolare il capo delegazione Guy Verhofstadt, un interlocutore interessato a un accordo.

Iniziano con lui la trattativa per entrare nell’ALDE, i liberali, il gruppo di riferimento di Mario Monti, i più europeisti del Continente. Della trattativa, alla faccia della trasparenza, sono a conoscenza pochissime persone: oltre a loro, Cristina Belotti, Davide Casaleggio, Grillo (forse solo a cose fatte), Di Maio ( anche se lui pubblicamente smentisce) e pochi altri.

Se l’operazione andasse a buon fine, sarebbe un colpaccio: il Movimento farebbe meno paura e soprattutto Di Maio potrebbe spendere l’accordo, con il resto della leadership internazionale, come la prova che il suo partito è in grado di istituzionalizzarsi e condurre trattative con successo.

Anche Filippo Pittarello ne beneficerebbe: da tempo andava dicendo ai parlamentari più fidati che si sentiva a rischio, minacciato da Cristina Belotti, che gode della fiducia di Davide il quale, invece, Filippo non lo sopporta.

Le cose vanno diversamente: invece di verificare informalmente, con altri eurodeputati dell’ALDE, quanto sia fattibile l’accordo, Borrelli e Pittarello si fidano di Verhofstadt, che vuole candidarsi alla presidenza del Parlamento, convinti che riesca a convincere il suo gruppo.

Alla notizia del possibile ingresso del M5S, invece, i liberali si ribellano e lo fanno saltare clamorosamente. Il Movimento fa così marcia indietro, chiede scusa a Farage e gli chiede di restare nel suo gruppo. Politicamente, questa giravolta costa al Movimento l’intero capitale nell’unica valuta valida in campo internazionale: l’affidabilità. Nessuno, infatti, li potrà più considerare interlocutori credibili e affidabili se passano nell’arco di 24 ore dall’essere aspiranti liberali europeisti a feroci avversari della moneta e del progetto comunitari.

Grillo, come detto, è costretto ad assecondare ogni condizione imposta da Farage per la permanenza nel gruppo.

Richieste molto chiare: via Pittarello, via Borrelli, dichiarazioni pubbliche antieuropeiste, nessun candidato M5S al prossimo rinnovo delle commissioni.

Ma se il Movimento deve perdere il suo capo comunicazione, la copresidenza del gruppo e tutti i ruoli nelle commissioni, cioè quelli che permettono di “incidere” nel parlamento come dicono di voler fare, che senso ha restare?

La risposta è: ventitrè. Tanti sono i funzionari assunti dal Movimento per il fatto di appartenere a un gruppo parlamentare. La stragrande maggioranza è personale di fiducia dei parlamentari, attivisti, ex MeetUp, che perderebbero il posto se il M5S finisse nel gruppo misto.

Luigi Di Maio

Così, dopo anni di equilibrismo e ambiguità, Di Maio si esprime chiaramente come mai prima contro l’Euro (“a un referendum, voterei per uscire”), David Borrelli rinuncia alla copresidenza e Filippo Pittarello viene sostituito anzi, sacrificato, come dicevamo, sull’altare dei soldi e della fedeltà a Davide, che non perde nulla ma impone una persona di sua fiducia alla comunicazione del gruppo a Bruxelles.

Amen.