Ciò che sta succedendo nel MoVimento esprime lo stesso problema: il suo rapporto con le regole
Il MoVimento avrebbe dovuto essere le sue regole: nessuna ideologia, niente soluzioni preconfezionate, solo una cornice di poche, semplici regole all’interno delle quali organizzare il consenso, scrivere il programma, prendere decisioni.
Proprio sulle decisioni da prendere, per motivi che prima o poi andranno raccontati, il progetto è fallito. Due esempi per tutti: nessuno sa chi e come ha deciso di rinunciare a votare le unioni civili; nessuno sa chi e come ha deciso di sospendere Federico Pizzarotti.
Eppure, proprio a inizio legislatura c’era stato un episodio dopo il quale Grillo e Gianroberto Casaleggio avevano provato a trarre una lezione per il futuro: l’elezione del presidente del Senato Grasso.
Il Movimento era stato messo di fronte a una scelta impossibile: scegliere tra Grasso, del Partito Democratico, e Schifani. Ci fu una spaccatura, ci furono litigi e alla fine i senatori siciliani M5S decisero di votare Grasso contro l’indicazione del gruppo, che aveva indicato Orellana.
Fu pubblicato un post sul blog di Grillo in cui, in sintesi, i garanti spiegavano come la soluzione dell’impasse fosse scritta nei regolamenti: sarebbe bastato votare quale fosse la linea e rispettare l’esito del voto, anche fosse stato Grasso. Applicare le regole, appunto.
In seguito, questo metodo fu applicato in molte occasioni, anche allargando il voto a tutti gli iscritti, quando possibile.
Poi, però, si cominciò ad applicare le regole per finta: il processo di votazioni sulla legge elettorale fu fatto terminare fuori tempo massimo, quando ormai era pronto l’Italicum e il MoVimento non aveva più voce in capitolo.
Infine, dopo l’istituzione del direttorio, si è smesso proprio di applicarle. Niente — o quasi — assemblee congiunte dei gruppi parlamentari, niente — o quasi — votazioni sul blog.
E così, sulle unioni civili, alcuni senatori del MoVimento prendono accordi col PD salvo decidere, senza voti né assemblee, di lasciare libertà di coscienza e astenersi sul voto finale. Non si sa chi l’abbia deciso, non si sa perché.
Mentre su Pizzarotti si applicano in maniera discrezionale addirittura regole inesistenti, mai codificate, dopo averlo isolato con atteggiamenti che in qualunque azienda sarebbero qualificati come mobbing: non si risponde ai messaggi e alle telefonate, non si invita il sindaco agli eventi ufficiali, non gli si permette di raccontare la sua attività attraverso il portale-sede del MoVimento, il Blog.
Senza la condivisione e l’applicazione delle proprie regole, il MoVimento forse non muore, ma di certo diventa qualcosa di diverso, anche rispetto a quel principio per il quale nessuno deve essere lasciato indietro.
Senza regole, le decisioni non le prende la comunità né chi ha ragione: le prende chi ha più influenza o più carisma, chi ha più mezzi o più potere da distribuire. La regola diventa una sola, non scritta: non perdere voti, a qualunque costo.
Il MoVimento, numeri alla mano, ha la possibilità di vincere le prossime elezioni politiche; ma senza regole e senza la capacità di amministrare le complessità non sarà in grado di cambiare in meglio il Paese. Problemi complessi richiedono soluzioni complesse, perché quelle semplici sono pericolose quando non inefficaci.